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Juncker, il Patto stupido e le parole sciocche

Il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato che il governo italiano la critica con continuità ma non ottiene i risultati sperati? Mi sentirei di rispondere a Mister Juncker con le parole dell’Arcivescovo di Milano Angelo Scola che nei giorni scorsi in una bella intervista alla Stampa ha dichiarato testualmente: “Dobbiamo essere molto duri con questa Europa che ci sta lasciando soli” con evidente riferimento alle vicende sempre più drammatiche del salvataggio e dell’accoglienza dei migranti.  Persino uno dei più alti e autorevoli prelati della Chiesa Italiana ha dichiarato pubblicamente che bisogna essere “molto duri” con le Istituzioni europee e, pertanto, se anche Renzi volesse abbassare i toni – ma fortunatamente non ne ha alcuna intenzione – sarebbe sicuramente una parte non secondaria della Chiesa italiana a ricordargli che, invece, la voce bisogna alzarla forte e chiara nei confronti di Bruxelles.

In un auspicabile coro di crescente denuncia contro i comportamenti elusivi della Commissione Europea in materia di distribuzione dei migranti nei vari Paesi – mancata distribuzione che costringe il Governo italiano ad impegnare anche per il 2017 nuove cospicue risorse per l’accoglienza, insieme a quelle per riparare i danni del sisma – piacerebbe ascoltare i rappresentanti della minoranza del PD. Gli onorevoli Bersani, Speranza e i pochi altri rimasti ancora con loro – e lo stesso D’Alema, che anche in Europa è un apprezzato statista – potrebbero (almeno per un attimo) sospendere o affiancare alla loro irriducibile polemica contro Renzi e l’Italicum (ormai superato) considerazioni critiche nei confronti della UE. Il loro silenzio in proposito è clamoroso e finisce col legittimare il sospetto – che non è solo di Matteo Renzi per la verità – che in realtà a loro interessi solo colpire politicamente la sua persona. Non deve poi dolersi l’On. Bersani se alla Leopolda sono risuonate grida che si possono anche non condividere, ma che esprimono uno stato d’animo di esasperazione di una parte del Pd per posizioni della minoranza – ormai divisa al suo interno – che ignorano il livello dello scontro del Governo sul fronte europeo.

Detto ciò, vogliamo introdurre qualche elemento di riflessione sul dopo 4 dicembre. Se vincesse il NO, perché il governo dovrebbe dimettersi? La sua azione si è forse caratterizzata soltanto per la riforma costituzionale? E il Jobs Act? E gli 80 euro a coloro che li hanno ricevuti ? E la riforma della scuola con le assunzioni di migliaia di docenti precari? E lo sblocca Italia? E il Codice degli appalti, la riforma delle Autorità portuali e l’imponente lavoro del ministro Delrio per la modernizzazione delle infrastrutture per il trasporto di merci e passeggeri in raccordo con i grandi corridoi europei ? E le Unioni civili? E l’istituzione dell’Autorità anticorruzione? E la legge contro il caporalato? E quella sul cinema? E la riforma dei grandi Musei? E le questioni dell’Ilva e di Taranto? E il Master plan per il Sud e i Patti con le Regioni e le Città metropolitane? E la riforma delle Banche popolari e delle  Bcc? E il salvataggio delle Banche in crisi? E l’abolizione dell’Imu sulla prima casa? E la riforma della Pubblica amministrazione? E i 500 euro ai giovani diciottenni per favorire i loro consumi culturali? E il grande piano Casa Italia di riassetto idrogeologico e di consolidamento antisismico del Paese? E la legge di bilancio che il 5 dicembre forse dovrebbe ancora andare al Senato con i suoi contenuti espansivi per le imprese e le misure per le famiglie e in favore dei pensionati? Tutte queste misure del Governo – che hanno cercato di imprimere una forte accelerazione alla crescita economica e ai processi di modernizzazione del Paese – dovrebbero essere travolte, cancellate, o definanziate, quando molte di esse attendono ancora regolamenti di attuazione, concrete sperimentazioni, verifiche e valutazioni di efficacia? Il popolo italiano sull’attività del Governo sarà chiamato ad esprimersi in occasione delle elezioni generali per il rinnovo del Parlamento. Il 4 dicembre si approva o meno solo la riforma di parte della Costituzione.

E perché mai il presidente Mattarella dovrebbe accettare le (eventuali) dimissioni di Renzi in caso di vittoria del NO? Il Governo sarebbe stato forse sfiduciato dalle Camere? Inoltre lo stesso Renzi non può da solo decidere anche il destino politico del Nuovo Centro-Destra che di questa esperienza governativa è stato un partner molto determinato, che ha saputo distinguersi con nettezza dal berlusconismo. Il Prof. (di Diritto Costituzionale) Sergio Mattarella lo rimanderebbe in Parlamento per verificare se in esso l’Esecutivo abbia ancora la fiducia.  E solo in caso di motivata revoca della stessa da parte della maggioranza, si aprirebbe una crisi formale per la cui soluzione, peraltro, non sono facilmente individuabili delle vie concretamente praticabili, dato il livello di estrema frantumazione del quadro politico nel quale, al contrario, il Governo Renzi e la maggioranza che lo sostiene continuano a rappresentare un preciso punto di riferimento anche a livello internazionale.

Federico Pirro – Università di Bari

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