L’effetto Trump sulle borse e soprattutto sull’apprezzamento del dollaro sull’euro dovrebbe aiutare non poco i bilanci di Fca e Ferrari nel 2017. Anche se l’industria americana dell’auto ha ancora molte questioni da risolvere con il presidente eletto che potrebbe rappresentare un “game changer” negli equilibri del settore. Questo il pensiero di Sergio Marchionne che ieri è intervenuto all’assemblea dell’Anfia (l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica) allo stabilimento Alfa Romeo di Cassino (Frosinone), confermando inoltre un asse ormai consolidato con il governo Renzi e invitando a votare sì al referendum costituzionale in nome della stabilità.
Al momento, però, le preoccupazioni del numero uno del Lingotto sono per gli Stati Uniti. Non è un mistero, infatti, che prima delle elezioni americane Donald Trump non era il suo candidato preferito. Se Marchionne avesse potuto scegliere il nuovo presidente, avrebbe sicuramente optato per Hillary Clinton anche se neppure il candidato democratico scaldava il cuore del manager italo-canadese. Marchionne, infatti, considerava la Clinton il minore dei mali alla luce delle minacce di Trump di costruire un muro con il Messico (ovvero laddove le big dell’auto Usa – Ford, Fca e General Motors – producono buona parte dei veicoli poi venduti negli Stati Uniti).
A due settimane di distanza dal voto, la situazione sembra però in parte cambiata. Da quando Trump è stato eletto presidente, le borse americane hanno intrapreso un rally che è ancora in essere. E con esso c’è stato un apprezzamento del dollaro che non potrà che fare bene a Fca e Ferrari soprattutto sui bilanci dell’anno prossimo. “Speriamo che (il rally del dollaro, ndr) duri il più possibile, ma i suoi effetti si sentiranno nel 2017″, ha commentato il ceo, “anche perché abbiamo coperture sul dollaro da smaltire. Il rally, inoltre, aiuterà molto anche in Ferrari “. Ovvio il riferimento al fatto che sia Fca (che con Chrysler ha il suo primo mercato di vendita negli Stati Uniti) sia la Ferrari che nel Nordamerica ha il suo bacino di acquirenti più importante potranno registrare ricavi con un dollaro apprezzato rispetto all’euro che è la moneta di conto dei bilanci delle due società.
Questa però è solo la parte iniziale di una partita tra l’industria auto Usa e Trump che in realtà deve ancora iniziare. Se infatti Marchionne, da manager consumato, non ha certo chiuso la porta al nuovo presidente (“lavoreremo con la sua amministrazione. Non importa se me lo aspettavo o meno. La realtà è questa e la gestiremo”, ha spiegato il numero uno del Lingotto), d’altro lato Marchionne sa che il presidente eletto rappresenta una sfida per l’intero settore automobilistico. L’elezione di Trump «muterà le regole del gioco e inoltre ci sono numerose questioni negli Stati Uniti che non sono state ancora chiarite», ha spiegato con riferimento soprattutto all’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (il Nafta) che Trump ha più volte detto di voler modificare.
Negli Stati Uniti, d’altronde, presto Fca si giocherà un’altra partita importante: ovvero l’ennesimo tentativo di rilancio del brand Alfa Romeo. Con la nuova berlina Giulia e il suv Stelvio, il Biscione partirà all’attacco delle piazze mondiali e, in special modo, di quella americana dove “i suv rappresentano una grande fetta del mercato con oltre due milioni e mezzo di veicoli”, ha rimarcato Marchionne che ancora una volta ha lanciato la sua sfide alle case tedesche nel segmento premium. “Qualche anno fa”, ha spiegato il manager, “abbiamo detto che dovevamo aspettare il momento opportuno per muoverci in questi segmenti. Oggi abbiamo una struttura tecnologica superiore a qualsiasi altra forma sul mercato e abbiamo dimostrato che siamo capaci di fare macchine alla pari e superiori ai tedeschi”, ha concluso annunciando l’inserimento (tra ex cassa integrati e nuove assunzioni) di 1.800 persone nello stabilimento di Cassino.
La giornata di Cassino ha avuto però anche un coté politico italiano. Come era lecito attendersi dato il buon rapporto con l’attuale governo, Marchionne ha invitato a votare sì al referendum. “Sono molto più preoccupato dalla percezione dell’Italia all’estero di quanto lo sia per le effettive conseguenze”, ha spiegato il manager. “Credo che l’ultima cosa di cui l’Italia abbia bisogno è rischiare di esporsi a questa percezione, oggi non è nella condizione di sostenere lo shock, quindi spero davvero che il referendum abbia un risultato positivo”, ha spiegato indicando in maniera chiara la sua preferenza.
(Articolo pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)