“Che ci sia un’intera comunità che sta leggendo la riforma e si sta confrontando è un risultato di per sé straordinario”: scommette in questo modo sul “cambiamento”. E’ quello che ha detto il ministro Maria Elena Boschi, dopo le elezioni americane parlando all’incontro – del comitato per il sì al referendum – “A Roma Sì può”, svoltosi ieri al centro congressi “Nazionale Spazio Eventi” di Roma e promosso da Democrazia Solidale. “La buona politica passa dalla possibilità dei parlamentari di dare risposte ai cittadini”, ha aggiunto Boschi: “È inutile avere 945 parlamentari se abbiamo leggi bloccate in un ramo del parlamento. Noi con questa riforma non vogliamo dare maggiori poteri al governo, però vogliamo mettere il parlamento nelle condizioni di scegliere. Perché dobbiamo dirci che questo sistema non funziona”.
LE RAGIONI PER IL SÌ DEL CENTRISTA DEMOCRATICO DELLAI
“Noi diciamo sì con coerenza, perché abbiamo votato la legge in parlamento, ma allo stesso tempo non vogliamo vendere false illusioni: con il sì non si risolvono automaticamente i nostri problemi, come quelli del lavoro, della mancanza di valori civili, della perdita di spirito di comunità”, esordisce l’ex presidente della provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, parlamentare e presidente di Democrazia Solidale: “Ma sappiamo anche che con la vittoria del sì avremo strumenti di maggiore efficienza nella vita delle istituzioni, e la nostra democrazia ha, di certo, anche un problema di efficienza”. E prosegue: “Il sì è esigente prima con noi stessi che con gli altri: quello di dicembre è un passaggio molto importante, ma anche funzionale all’attuazione di quella prima parte della costituzione fatta dei grandi valori dei padri costituenti e fino ad oggi notoriamente disattesi”. Che tipo di sì è allora quello del centrista Dellai? “Il nostro è un sì convinto che il futuro non sta nel centralismo e nello statalismo, consapevoli che la riforma prende atto di uno stato di disagio e di elementi di forte criticità nell’esperienza del regionalismo nel nostro paese”, afferma ancora. “È un sì al rilancio in prospettiva di una grande stagione di riformismo autonomistico, perché il futuro sta nella ripresa di grandi valori di autonomismo partecipato e responsabile: c’è bisogno di politica buona e di una visione comune. La crisi della democrazia oltre a esserlo di efficienza lo è anche del significato di rappresentanza, di valori di condivisione”.
UN SÌ SENZA ILLUSIONI. NON RASSEGNATO MA DI PROSPETTIVA E DI RADICI
Quello di Dellai sembra così un sì disincantato, che non polarizza ma che al contrario avvicina, che vuole creare punti di incontro. Si direbbe quasi che vuole creare ponti, se la citazione non fosse già stata sfortunatamente usata – e pure usurpata – dalla Clinton per lo slogan finale della sua campagna. “C’è un filo rosso che lega i valori occidentali”, prosegue appunto il presidente di Democrazia Solidale: “è il fossato tra il ceto urbano, tra i giovani legati sempre più alla nuova economia e globalizzati, più orientati nel progressismo ma anche sempre più scettici verso le politiche nazionali. E, dall’altra parte, i ceti popolari: spiazzati, impoveriti dal processo di globalizzazione che si aggrappano ai populismi progressisti. Il rischio è che in questo fossato ci finisca la democrazia rappresentativa e la politica come l’abbiamo conosciuta; questo rischio c’è anche in Italia e non si supera giocando al populismo, ma recuperando assieme al valore dell’efficienza anche quello della buona politica”. Nell’addentrarsi dentro le ragioni dell’appoggio alla riforma Dellai spiega così quali sono le radici di questa scelta, e quindi anche del gruppo che rappresenta: “Radici piantate nella cultura di un cattolicesimo democratico che ha guardato laicamente alla cultura delle istituzioni. Si possono quindi avere mille motivi di dire no alla riforma, ma il senso della direzione di marcia è ciò che non deve sfuggirci. Il nostro non è un sì rassegnato e fine a se stesso ma è un sì di prospettiva”.
PER IL VICEMINISTRO GIRO “IL REFERENDUM AVVIENE IN UN PERIODO STRANO PER IL NOSTRO PAESE”
“Il referendum avviene in un periodo strano per il nostro paese: questo sentimento di incertezza e confusione non facilita nessuna decisione. Pur nella complessità però la riforma è di per sé semplice: vogliamo passare da un bicameralismo paritario a un sistema monocamerale, con un senato delle regioni ridotto in numero”, dice il viceministro degli esteri Mario Giro. “Non mi sembra un cambiamento apocalittico, e tuttavia a molti sembra un salto nel buio. Ma il no non prende responsabilità e non costruisce”. Ciò nonostante, è quasi inevitabile che l’eco della situazione internazionale si percepisca fino a Roma: “La democrazia nel corso della storia è sempre stata sfidata dalla politica delle emozioni, pensiamo agli anni ’30: in ogni momento di crisi ci sono stati movimenti che hanno preferito abbandonare il dibattito democratico per scegliere la strada dell’eccitazione e dell’impossibilità, della ricerca del nemico, e quindi della paura, che è come un demone. Noi dobbiamo rimanere lucidi e mantenere una visione del futuro, perché troppe volte la democrazia ha rischiato di essere travolta da queste pulsioni”.
IL NUOVO SENATO NON AUMENTA MA TOGLIE POTERI AL GOVERNO. E IN CASO DI NO IL CAOS CALMO
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che una volta passata la riforma non si eviterebbe sistematicamente il rischio della vittoria di un ipotetico partito populista, ma che anzi in caso di vittoria avrebbe anch’egli, democraticamente, più forza nell’assumere decisioni (anche se, per esempio, le leggi di carattere costituzionale “saranno messe in sicurezza” – dice il senatore Dem e coordinatore nazionale del comitato “Basta un Sì” Roberto Cociancich – in quanto “il Senato, non essendo più eletto dai partiti, non risponderà più alle loro logiche e ai loro comandi e nemmeno a quelli del governo”. E che quindi, qualunque sarà la maggioranza, una modifica delle leggi riguardanti la prima parte della costituzione “dovrà essere condivisa in una logica più ampia, inclusiva delle autonomie territoriali”). Per il viceministro, tuttavia, il punto centrale è un altro, e ha carattere tanto tecnico quanto politico: che cioè la riforma “è un passo verso un miglioramento delle regole, un maggiore funzionamento della democrazia, per governi più lunghi e stabili, e leggi più veloci e vicine ai bisogni reali”. “È vero che il nostro sistema politico avversa competizione e alternanza, quasi le teme” continua Giro: “Ma non possiamo pensare che un governo che duri un’intera legislatura sia una cosa pericolosa e autoritaria. Governi più lunghi in tempi di spaesamento sono quelli che resistono meglio alle pulsioni che salgono confusamente dalla società e da fenomeni di confusione globale”. Paradossalmente, sottolinea. “Votare sì quindi serve a uscire dalle secche di una situazione politica: cosa avverrebbe dopo il no? Sarebbe un periodo confuso. Rubando un titolo a un film (morettiano, ndr), un caos calmo”.