Non ho partecipato all’incontro della Leopolda. Ho seguito la diretta gentilmente messa a disposizione da L’Unità, giornale di Partito che tanta solerzia però non la riserva agli incontri organizzati da altri membri o alle altre iniziative promosse da componenti del PD. Dopotutto, se la firma di punta è Fabrizio Rondolino, c’è poco da stupirsi, mentre mi meraviglio di Sergio Staino, che devo dire mi delude parecchio nella sua funzione di Direttore.
Un bel palcoscenico, la Leopolda, niente è lasciato al caso. Una bella opera di marketing politico, senza dubbio. Ma io sono stanco di questo show permanente. La realtà è altro. Ho ascoltato interventi appassionati, che parlando di cose banali. Ho ascoltato una relazione conclusiva del Segretario Nazionale basata su sfottò e acredine. Non è così che si guida un partito. Non lo si fa minando ogni santo giorno le fondamente di una casa comune. Mi aspetto un linguaggio pulito, serietà.
L’arroganza che ha contraddistinto questa dirigenza in questi ultimi due anni ha spaccato e spolpato una comunità politica nata come rivoluzione unitaria: il motto doveva essere uniti nella diversità. Un leader politico ha l’onere di tenere unito il proprio partito. Non può applicare una logica del divide et impera all’interno della propria comunità: la indebolisce, è un comportamento masochista o semplicemente dimostra il fatto che da parte sua l’interesse per il PD non c’è. Sia chiaro: alcuni della minoranza non sono stati da meno nella loro battaglia sorda e a volte disorientata. Ma le responsabilità ricadono primariamente, sempre, su chi ha l’onere e l’onore del comando.
La situazione è ora drammatica. Non a caso ora Renzi torna un po’ sui suoi passi, consapevole che la rivoluzione copernicana che credeva essere sostenuta da tutte le italiane e da tutti gli italiani, potrebbe non avvenire, proprio perché il rischio di vittoria del No al referendum popolare oggi è molto concreto. La commissione in cui le minoranze hanno delegato Cuperlo è arrivata ad un accordo, se questo sia l’esito di un convincimento tardivo che dopotutto le minoranze avevano ragione, o un mero calcolo opportunistico, a cui siamo anche assai abituati ormai, non lo posso dire.
I sondaggi contano poco, ma l’odio verso chi nel PD ha deciso, legittimamente, di votare no, dimostra: 1) debolezza interna, e non c’è da stupirsi: se picconi casa tua ogni giorno, prima o poi ti casca tutto addosso, 2) che forse la retorica del “io cambio tutto, tutti son contenti, voi siete la palude” è, appunto, solo retorica, se Bersani e D’Alema son considerati come probabile causa della vittoria del No, allora questa dirigenza ha fallito in tutto. E non se ne rende conto?
Questo parito è in agonia da un po’ di tempo. Dispiace che alla Leopolda, che non so se è un incubatore per un partito nuovo, in vista di una eventuale sconfitta al Referendum, o se è un mero stadio, si siano alzati cori di disprezzo al grido di “fuori, fuori!”. La dialettica politica ormai è sparita dai nostri radar. Qualcuno ci ricordò che a quella che oggi è maggioranza fu riservato lo stesso trattamento quando era minoranza. Io non c’ero in quei cori, non ho mai preso parte a nessuna tifoseria così becera. Oggi, come allora, le battaglie politiche vanno fatte nel rispetto reciproco. Sconcerta, che proprio quella minoranza ora maggioranza usi gli stessi toni, ma a dire il vero in modo assai più violento, contro chi ora è minoranza: è rabbia, è voglia di vendetta. Non è politica.
Penso sia grave che questo sia accaduto alla presenza dei massimi dirigenti del nostro Partito, silenti. I congressi sono i luoghi della discussione, non le Leopolde.
Renzi non ha imparato dai suoi errori. Forse ha troppi cattivi consiglieri. Questa deriva grillina non ci ha aiutato alle elezioni e non ci aiuterà per il Referendum i cui temi sono ormai spariti da ogni discussione: noi vs loro, nuovo vs vecchio (retorica anche questa, visto che secondo Demos la maggioranza dei giovani voterò no e la maggioranza degli over 65 voterà sì), bene vs male.
Facciamo pochi passi in avanti, come l’accordo sulla legge elettorale, e poi si torna poi subito indietro. Ecco, è questo quello a cui ci siamo ridotti? Davvero una brutta fine. Siamo in tempo per evitare lo sfascio: o si cambia, o si va a sbattere. E farà male, a tutti.