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Ecco cosa sta succedendo a bond e tassi fra Mister Trump e Lady Spread

vignetta Trump

I mercati in pochi giorni hanno scontato in ampia misura tutti i possibili effetti reflazionistici della svolta politica a Washington: rialzo deciso dell’inflazione e accelerazione della crescita generate da tagli di imposte e aumenti di spesa, con probabile significativo allargamento del deficit e incremento del debito. Questi sono i trend probabili nei prossimi anni, con un allineamento di potere esecutivo e legislativo.

Tuttavia, nonostante l’evidente volontà di Trump di cooperare con il partito repubblicano, gli interventi fiscali in arrivo non saranno attuati immediatamente e richiederanno tempi moderatamente lunghi per negoziare una molteplicità di dettagli, sia dal lato della spesa sia, soprattutto, da quello della riforma tributaria e sanitaria. Congresso e presidente entrano in carica a gennaio e avranno un’agenda fittissima di interventi annunciati da trasformare in leggi. La riforma tributaria di Reagan richiese anni: anche se Trump sarà più veloce, con un canovaccio legislativo già imbastito da Ryan nei trimestri scorsi, difficilmente ci saranno risultati prima di metà anno. Sul fronte della spesa, il Comitato di transizione di Trump ora ha annunciato 550 mld di spesa per infrastrutture, senza dettagli: dall’esperienza del passato, è chiaro che la frazione di spesa che avrà impatto sul 2017 sarà nell’ordine del 10-20% nella migliore delle ipotesi, con effetti non prima del secondo semestre. Inoltre, per ora i mercati danno pochissimo peso a effetti delle parti negative del programma Trump (in particolare, commercio internazionale). Infine, rimane il dubbio di quanto della svolta reflazionistica si trasformerà in crescita reale e quanto in inflazione in un’economia già oggi al pieno impiego.

In conclusione, i trend impliciti nelle reazioni dei mercati sono ragionevoli, ma la loro lettura appare già dare per scontato un sentiero di realizzazione senza intoppi, che invece saranno inevitabili con un’agenda fitta di riforme strutturali.

I mercati azionari hanno preso una pausa in USA e in Giappone, ieri con l’S&P e il Nikkei stabili, sulla scia anche di una persistente debolezza del petrolio (WTI a 43 $-16% dal massimo recente di 51 $ di metà ottobre). In Europa, sono proseguiti i rialzi (Euro Stoxx +0,3%, Dax +0,4%), con l’eccezione del FTSE MIB (-0,7%).

Sui mercati obbligazionari prosegue invece ininterrotto il rialzo dei rendimenti. Il Treasury 10 anni ha toccato 2,3% e chiuso a 2,2%, spinto da aspettative (ragionevoli) di allargamento del deficit e aumento del debito, oltre che dalla possibilità di un sentiero di rialzi dei fed funds un po’ più rapido di quanto atteso fino a una settimana fa. Giornata negativa anche per i mercati europei, con rialzi particolarmente marcati sui BTP. Il decennale è salito ieri fino a 2,16% (massimo da luglio 2015); questa mattina tratta in area 2,06% (spread con il Bund in area 175 pb e con il Bono a 57 pb).

 

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