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Trump alla ricerca di Reagan

Donald Trump sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Succederà a Barack Obama il 20 Gennaio 2017 e governerà, almeno per due anni, con un Congresso e un Senato con una solida maggioranza Repubblicana. Tale maggioranza, soprattutto se rientrasse il dissenso che molti Repubblicani hanno espresso in campagna elettorale, potrebbe certamente aiutarlo a realizzare i suoi progetti; il problema rimane capire quali questi sarebbero.

L’incontro con Obama. Capire cosa sarà l’America di Trump è un esercizio quanto meno difficile e questo non solo per via della normale discrepanza fra proclami elettorali e realtà di governo, ma per l’imprevedibilità stessa del presidente eletto. Qualcosa di più certo si potrà sapere quando la squadra di governo sarà nominata e ratificata dal Congresso, ma già possiamo evincere alcuni piani dalla conferenza stampa che è seguita al primo incontro fra Trump e Obama il 10 Ottobre, alla Casa Bianca. In quella sede il presidente eletto ha confermato la sua volontà di abrogare ObamaCare – la riforma del sistema sanitario americano – e la Dodd-Frank, la legge che – detta in breve – regola il mercato finanziario. Oltre a questo, egli intende rimettere in discussione i trattati firmati negli ultimi anni dagli Stati Uniti, in particolare l’accordo di Parigi sul clima e quello sul nucleare Iraniano, allo scopo, dice, di ottenere condizioni più favorevoli agli Stati Uniti. Ognuna di queste dichiarazioni presenta delle conseguenze importanti non solo per il suo paese, ma per il mondo, soprattutto per quell’impronta reazionari e anacronistiche che si vede sullo sfondo.

La riforma sanitaria. ObamaCare, come è comunemente chiamata, è la riforma approvata nel 2010 volta a regolare il mercato delle assicurazioni sanitaria statunitensi. L’obiettivo di questa legge è di impedire alle compagnie private di negare il supporto sanitario per patologie “a rischio” e, allo stesso tempo, di istituire una forma di co-pagamento delle polizze fra datore di lavoro e lavoratore dipendente. Questa legge, inoltre, amplia il bacino di MedicAid, l’assicurazione minima garantita ai ceti deboli. Trump, come buona parte degli ambienti conservatori americani, è fortemente contrario a questa riforma, bollato con l’infame marchio, per una parte degli Stati Uniti, di “socialista”. Abolirla, a 6 anni dalla sua applicazione, significa riportare l’orologio indietro ai tempi di Reagan – e non la prima volta che questo paragone verrà fuori – con la sicura conseguenza di rinfocolare quella diseguaglianza sociale che ha animato molti conflitti sociale e razziali negli Stati Uniti negli ultimi mesi.

Wall Street. La Dodd-Frank, legge centrale della presidenza Obama, è stata fatta per regolamentare le attività finanziare di Wall Street, cercando di circoscrive i danni di eventuali nuove crisi del mercato evitando, così, un nuovo 2007. La legge vuole escludere dalle conseguenze di eventuali fallimenti finanziari, consumatori e correntisti americani di fatto evitando che sia quest’ultimi a pagare le conseguenze di una nuova crisi. La Dodd-Frank in sé – che la si guardi da un punto di vista riformista, conservatore o liberale -non è mai stata perfetta, ma non si può negare che ha certamente contribuito alla stabilizzazione economica degli Stati Uniti dopo la crisi. L’effetto principale di una sua abolizione, sarebbe di riportare Wall Street al periodo della deregulation voluta dalla dottrina Reagan e che, nel lungo periodo ha portato alla crisi mondiale del triennio 2007-2010. Trump, abolendo la Dodd-Frank, vuole portare ovvi benefici al mercato finanziario, ma rischia di esporre il mondo ad una nuova crisi in un momento in cui né in Europa, dove Londra soffre degli effetti della Brexit, né in Asia, dove la situazione finanziaria cinese è lontana dalla stabilità, si scontano ancora gli effetti del 2007.

Politica Estera e Clima. I Repubblicani non sono mai stato favorevoli né gli accordi sul clima né ai provvedimenti della dottrina estera di Obama che, a fronte di risultati ancora difficili da giudicare, hanno portato, fra l’altro, all’importante accordo sul nucleare iraniano: Trump vuole cancellare anche questi. Sul clima, Trump contesta i danni che il Trattato porta agli interessi delle compagnie petrolifere americane ed al mercato interno del carbone a fronte di benefici non percepibili. Nel caso dell’Iran, il futuro presidente intepreta gli accordi fatti dall’amministrazione Obama con Teheran come concessioni fatte ai “principali nemici” degli Stati Uniti, per di più recando danno ad Israele, alleato storico con cui il futuro presidente vuole riallacciare i rapporti. Anche in questo caso si tratta di cancellare otto anni di trattative e lavoro, riportando il panorama geopolitico e delle alleanze indietro nel tempo. Il fine, nell’ottica di Trump, è di ristabilire un ordine mondiale che per lui – e per i suoi sostenitori – è più affidabile fatto di un sistema di alleanze rigido in cui rientra anche la suddivisione delle sfere di influenze con la Russia. Gli effetti di uan tale marcia indietro rispetto alla dottrina Obam sono ancora più imprevedibili, soprattutto se si tiene in considerazione che il Medio-Oriente di adesso, con la guerra all’Isis, le nuove ambizioni Iraniane e Turche, l’isolamento di Israele  della Turchia, è molto più instabile di quello precedente alla Seconda Guerra del Golfo, mentre l’emergenza climatica non accenna a diminuire, anzi aumenta.

Ronald Reagan. L’America degli Idrocarburi, del conflitto con l’Iran, delle influenze geopolitiche tagliate con il coltello fra Washington e Mosca, manifesta quel distacco totale dalla dottrina Obama che Trump vuole portare avanti richiamando alla memoria, non tanto Bush, quanto, ancora una volta, Ronald Reagan. In fondo, se si analizza la persona Trump e la “Sua” America, si nota come tutto quanto riporti a quegli Stati Uniti degli anni 80 che proponevano una dottrina economica selvaggia ed una politica estera semplificata, dove i nemici erano chiari e più “vendibili” all’elettorato americano bianco e conservatore rispetto che una realtà fatta di immigrazione, potenze regionali con cui raggiungere accordi specifici e conflitti sociali che hanno sostituito il “sogno americano”. In fondo è dagli anni 80 che Trump, uomo ed imprenditore, arriva ed è lì, con una forte nostalgia per Reagan, che vuole riportare l’America.

Manca poco all’inizio del mandato di Trump, ma certamente il panorama che egli stesso, oramai eletto, disegna sembra prometterci degli Stati Uniti più fragili, riconsegnati ad un equilibrio mondiale, una politica finanziaria ed estera oramai superata dagli eventi. Di fronte ad un’Europa ancora debole, con Russia e Cina di fronte a cambiamenti epocali, questo è il futuro che Trump vuole regalarci: il ritorno al passato. Quasi tutto quello che traspare nelle idee di Trump, infatti, sembra proporre il ritorno ad un passato precedente alla presidenza Obama, molto vicino agli Stati Uniti che conosce lui, quelli Reganiani, e lontani da quello che è diventato il loro ruolo nel mondo del 2016.


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