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Perché nella Silicon Valley c’è chi sbuffa contro Donald Trump

Donald Trump

Rabbia, stupore, preoccupazione, indignazione, e potremmo continuare: le aziende hitech americane sono sotto choc per l’elezione di Donald Trump alla presidenza del loro paese.

Non che anche nel mondo hitech non ci siano sostenitori di Trump. Ma sono così pochi da fare i titoli dei giornali. Come il co-fondatore di PayPal Peter Thiel, miliardario, conservatore e attivista politico, che lo scorso mese ha donato 1,25 milioni di dollari alla campagna di Donald Trump proprio mentre espolodeva la rabbia generale sui commenti del candidato sulle donne.

Thiel è però un’eccezione. Come già riportato da formiche.net la Clinton ha ricevuto donazioni per circa 15 milioni di dollari dalle aziende dell’hitech, contro i 706.000 dollari di Trump.

CALEXIT!

Sul fronte opposto, espressione massima dello sdegno anti-Trump, c’è Shervin Pishevar, presidente di Hyperloop Technologies e managing director di Sherpa Capital: si è dimesso dal J. William Fulbright Foreign Scholarship Board, dicendo al Presidente Barack Obama che non c’è più niente che lui possa fare ora insieme all’amministrazione Trump. Su Twitter Pishevar ha fatto appello agli americani perché si cominci a parlare seriamente di razzismo, sessismo e odio, perché è molto pericoloso quando le derive estremiste si diffondono e entrano nelle stanze del potere. Pishevar è andato oltre: sempre su Twitter sta organizzando il fronte pro-secessione della California dagli Usa. In una parola, la Calexit.

A onor del vero, non è Pishevar che ha inventato la secessione della California dagli Usa né Donald Trump ad averla ispirata. Da tempo esiste un movimento separatista chiamato Yes California Independence Campaign il cui obiettivo è tenere un referendum nel 2018 per votare l’indipendenza dello Stato della Silicon Valley. La vittoria di Trump ha però improvvisamente moltiplicato i suoi sostenitori e Pishevar si è trasformato nel supporter numero uno della causa separatista, pronto a fondare anche un proprio movimento e a metterci tanti soldi. Ovviamente la secessione della California è altamente improbabile ma Pishevar ha raccolto su Twitter proseliti tra altri guru dell’hitech – per esempio, Marc Hemeon, ex di Google e fondatore di Design Inc.

TUTTE LE REAZIONI

“Svegliatemi da quest’incubo, adesso”, ha twittato Sam Altman, capo dell’incubatore di impresa Y Combinator. “Se cadremo e perderemo le nostre libertà, sarà perché ci siamo distrutti da soli”, ha scritto Chris Sacca, venture capitalist. “E’ questo quello provava la gente quando aveva iniziato a capire che Hitler stava per prendere il potere?”, ha twittato Mark Pincus, presidente e fondatore di Zynga.

Le aziende hitech hanno contestato fin da subito la campagna elettorale di Trump nutrita di “odio e bigottismo, paura per le idee nuove e le persone nuove, il mantra secondo cui l’America sia debole e in declino”. Trump è stato visto come un nemico dell’innovazione e i grandi dell’hitech hanno fatto ricche donazioni per Hillary Clinton; il fondatore di Napster Sean Parker ha messo insieme 1 milione di dollari da vari sostenitori, il co-fondatore di Facebook Dustin Moskovitz e sua moglie Cari Tuna hanno addirittura impegnato 20 milioni per la campagna della candidata Democratica. Il fatto che questi finanziamenti siano stati spinti più dal desiderio di far perdere Trump che da un reale feeling con la Clinton la dice lunga sul perché gli americani abbiano alla fine scelto il Repubblicano.

PERCHE’ LA SILICON VALLEY SI PREOCCUPA TANTO

Con Trump la Silicon Valley teme di perdere il suo filo diretto con la Casa Bianca. Secondo il gruppo di vigilanza sulla trasparenza Campaign for Accountability, almeno 22 ex funzionari della Casa Bianca sono andati a lavorare per Google dopo la nomina di Barack Obama. Con la Clinton lo scambio sarebbe continuato.

Trump non ha questo legame con la Silicon Valley e anzi ha in mente una serie di misure molto osteggiate dai gruppi hitech. La più temuta è una modifica del sistema di visa H-1B che permette di assumere i talenti che arrivano dall’estero, molto ricercati in Silicon Valley.

Inoltre, Trump ha attaccato le aziende tecnologiche che avrebbero creato monopoli in Rete e danneggiato settori industriali tradizionali, come Amazon per i libri o il commercio online (“If I become president, oh do they have problems”, ha detto Trump su Amazon); ha criticato Apple perché assembla i suoi iPhone in Cina e anche per l’ostinazione con cui non ha permesso all’FBI di entrare nell’iPhone dell’attentatore di San Bernardino (in quelle settimane Trump gridava agli americani di boicottare la Mela e non comprare i suoi prodotti), il che fa temere ora che il neo-eletto presidente cambi le norme sulla privacy e imponga alle aziende hitech di creare porte d’accesso (backdoors) nei software di cifratura a uso e consumo del governo.

CHE COSA NE PENSANO GLI ANALISTI

Il punto è che Trump potrebbe però fare anche qualche inaspettato favore alle aziende hitech. Il neo-eletto presidente starebbe valutando di concedere una sorta di condono fiscale una tantum alle aziende americane che riportano in patria il cash che finora hanno tenuto all’estero per non pagare l’imposta sul reddito: la multa sarebbe un prelievo del 10% sul totale degli asset anziché del 40% come previsto ora.

Scott Kessler, analista di CFRA, pensa che il rimpatrio di questi soldi sarebbe importante per far lievitare gli investimenti domestici e dare più dividendi agli azionisti. Anche per l’analista Sean Derby di Jefferies, “Trump è uno che vuole la crescita: penso che all’inizio incoraggerà le aziende americane con condoni fiscali che le spingono a spendere i loro soldi per l’economia interna, possibilmente nella forma di ricerca e sviluppo o operazioni di fusione e acquisizione”.

L’analista del settore telecom Jeff Kagan si spinge oltre: Trump sarà un vero toccasana per le aziende hitech perché è un uomo d’affari privato e tenderà a varare misure che fanno crescere le imprese: “I politici puri guardano al passato e bloccano il progresso”, sostiene Kagan. “Un businessman tende a guardare al futuro e a cercare innovazione e crescita”. Come interpretare dunque le controverse dichiarazioni di Trump in campagna elettorale? “Non diventeranno necessariamente parte della sua azione politica”.


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