Quando una trattativa arriva alle battute finali di solito la Cgil frena. E’ una vecchia storia che ogni sindacalista di lungo corso conosce bene. L’allergia alla firma, quasi un riflesso pavloviano, riflette i tormenti interni di un’organizzazione che ha sempre avuto il problema di far quadrare i conti dell’azione sindacale con quelli della politica. Va così anche oggi. Susanna Camusso e Maurizio Landini hanno atteso che la trattativa sul contratto dei metalmeccanici si mettesse sui binari giusti per poi impuntarsi.
La numero uno della Cgil ha rispolverato l’argomento dell’intangibilità del contratto nazionale – che peraltro non è in discussione – per lanciare qualche stoccata agli altri sindacati e prendere tempo. E’ un classico della retorica del sindacato di corso Italia: quando un’idea di riforma prende corpo – nel caso dei metalmeccanici l’avvicinamento della contrattazione alla dimensione aziendale e territoriale – la Cgil sventola il vessillo del contratto nazionale per ribadire la propria purezza e salvare gli equilibri interni dalla minaccia, vera o presunta che sia, che viene dall’esterno. Ovviamente Maurizio Landini ha dato manforte: “Ad oggi non ci sono le condizioni di un accordo, a partire dalla determinazione degli aumenti salariali”, ha detto il leader della Fiom. Il problema degli aumenti salariali, che Federmeccanica, il sindacato delle imprese, vorrebbe pagare senza coprire per intero l’inflazione, ovviamente esiste e preoccupa anche le altre sigle dei metalmeccanici. D’altronde, come ha più volte fatto notare il segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli, il contesto economico in cui il negoziato si svolge, segnato com’è dalla deflazione, rende la ricerca di un accordo più difficile che in passato.
E però è difficile ascrivere le remore di Cgil e Fiom solo alla proposta, invero un po’ sparagnina secondo i sindacati dei lavoratori, formulata dagli industriali. Non serve infatti una particolare malizia per intravvedere dietro i loro ondeggiamenti la sagoma del referendum sulla riforma costituzionale. Firmare prima del 4 dicembre il contratto dei metalmeccanici, che mai come in questo frangente appare come “la madre di tutti i contratti”, significherebbe far cosa gradita al governo e al suo premier, quel Matteo Renzi che né Camusso né Landini (salvo un’iniziale infatuazione) hanno mai sopportato. Così ecco la sterzata, concepita per tenere sulla graticola un esecutivo sgradito e giocarsi magari le proprie carte (carte politiche, non sindacali) all’indomani del 4 dicembre e della bramata vittoria del no. E pazienza se in questo modo si tiene in scacco un rinnovo contrattuale che è già costato parecchi sacrifici ai lavoratori. Più che azzardato, il calcolo appare sconclusionato; ma tant’è, negli ambienti sindacali non sono pochi quelli che lo attribuiscono a Camusso e Landini.
Ospite qualche sera fa da Corrado Formigli a Piazza Pulita, dunque in territorio non proprio nemico, Landini sul referendum ha gigioneggiato: “Se vince il No faccio i tortellini”, proprio come usava nei giorni di festa nella sua Romagna. E’ auspicabile che l’impasto sia migliore di quello con cui ha cucinato i suoi argomenti antireferendari: se non altro per evitare brutti risvegli. Ai lavoratori, nel frattempo, Landini prescrive una bella dieta. Il contratto può attendere.