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Uber, Airbnb, Foodora. Sfide e incognite della sharing economy

Di Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio
Airbnb

Sulla sharing economy si è mosso anche il Parlamento. Sulla falsariga delle indicazioni fornite da Bruxelles, l’Intergruppo per l’innovazione ha elaborato un progetto di legge che mira a regolamentare le nuove piattaforme digitali. Qualcuno lo ha già battezzato Sharing Economy Act.

Senza dubbio l’interrogativo più rilevante riguarda però la compatibilità con la legislazione fiscale e del lavoro. Come garantire la concorrenza evitando il dumping? Come far sì che queste imprese, seguendo l’esempio delle “sorelle maggiori” di internet, non ricorrano all’arbitraggio fiscale tra gli stati per eludere le tasse?
La verità è che siamo di fronte ad un cambiamento di paradigma i cui contorni ancora non sono chiari. Il passaggio dal regime di proprietà, fondato sull’idea di distribuzione capillare della titolarità dei beni, al regime dell’accesso, basato sul principio che la rete rende disponibili beni, lavoro e servizi, cambia radicalmente la nozione di capitalismo.

Sul fronte sociale, ad esempio, tendono a sfumare i confini tra le categorie di lavoro dipendente e lavoro autonomo. Pochi giorni fa i giudici del tribunale di Londra hanno stabilito che i tassisti di Uber non vanno considerati lavoratori autonomi ma a tutti gli effetti dipendenti . Nonostante questa battuta d’arresto, è però difficile pensare che l’avanzata di un gigante da 40 miliardi di dollari, attivo ormai in 58 paesi, possa venir arrestata a colpi di sentenze. Anche Airbnb incontra forti resistenze: lo scontro più duro è con lo Stato di New York, che di fatto ne ha decretato la messa al bando (ma la battaglia legale è solo agli inizi).

Le difficoltà che incontrano i governi con Uber e Airbnb sono in un certo senso simili a quelle che evidenziano i sindacati nel rappresentare, culturalmente prima che organizzativamente, il tipo nuovo di lavoratore che avanza con la sharing economy. È a queste difficoltà che allude il leader della Fim Cisl Marco Bentivogli quando, di fronte al caso Foodora a Omnibus su La7, osserva che proporsi di arginare l’innovazione è come “fermare l’acqua con le mani”.

Fuor di metafora, catalogare con vecchie categorie i nuovi lavoratori, cercare di ricondurre tutto allo schema del lavoro subordinato, sarebbe in prospettiva illusorio. Piuttosto il sindacato, secondo Bentivogli, ha bisogno di mettersi in discussione se vuole allargare il “mercato” della rappresentanza. In fondo i rider di Foodora con la loro protesta hanno dimostrato che l’esigenza di organizzarsi collettivamente e in modo solidaristico per tutelare i propri diritti con la sharing economy non scompare, anzi. Ma perché la prossima volta si rivolgano ad un sindacalista è necessario che molte cose cambino.

Terzo e ultimo approfondimento a cura di Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio. Il primo e il secondo si possono leggere rispettivamente qui e qui

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