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Vi racconto il conservatorismo istituzionale degli orfani del Pci

Abbiamo appreso in queste ore della morte del comandante Fidel Castro. Inviamo le nostre condoglianze fraterne al Partito Comunista di Cuba e a tutto il popolo cubano, per l’immane perdita che colpisce Cuba e tutto il movimento comunista internazionale.

Muore il combattente che alla testa di un pugno di uomini ha liberato Cuba dallo sfruttamento capitalistico e dal tallone dell’imperialismo americano. Il dirigente comunista che ha saputo mantenere ferma la costruzione della società socialista dopo gli eventi controrivoluzionari in URSS e nell’est Europa, che nonostante le difficoltà e l’infame blocco economico americano, ha garantito al suo popolo istruzione, sanità, diritti sociali. Muore l’instancabile rivoluzionario antimperialista, fratello delle lotte di ogni popolo oppresso, dal Sud America, allAfrica.

Muore un uomo, ma non la grande idea del socialismo-comunismo. Siamo convinti che oggi, di fronte alla crisi capitalistica, allo sfruttamento sempre maggiore, alla compressione dei diritti e delle condizioni di vita dei lavoratori, all’emergere di nuove e più grandi contraddizioni del sistema capitalistico a livello globale, le idee di Fidel Castro, le idee dei comunisti siano più attuali che mai. Con questo spirito rinnoviamo il nostro profondo sostegno alla causa del socialismo, a Cuba socialista. Il nome di Fidel resterà scritto nelle pagine della storia accanto a quello dei grandi rivoluzionari di ieri, e ne siamo convinti, a quelli di domani. Nel tuo nome compagno Fidel continuiamo la nostra lotta. Hasta siempre Comandante!

Ho trascritto integralmente questa nota redatta dal rinato Partito Comunista di Marco Rizzo (nella foto) per commemorare la morte del “lìder maximo” senza alcun intento polemico. Ognuno può usare il linguaggio che preferisce, può credere ancora nell’internazionalismo proletario e nella lotta di classe come motore della storia, può pensare che il capitalismo abbia ormai i giorni contati. Affari suoi. La nota mi interessa per un altro motivo. Perché, al netto della sua fraseologia primitiva, ha il merito di riproporre con schiettezza un’idea largamente condivisa dalla galassia della sinistra radicale. Gratta gratta, infatti, nella cultura politica dei Vendola, dei Fassina e perfino di molti bersaniani scorre come un fiume carsico l’antica distinzione marxista tra democrazia formale e democrazia sostanziale, tra democrazia borghese e democrazia socialista, tra “libertas minor” (la libertà dell’individuo privato) e “libertas maior” (la libertà dell’individuo sociale). Cosa sia stata la “libertas maior” nell’esperienza sovietica lo abbiamo visto. Cosa sia stata nell’isola caraibica bisognerebbe chiederlo ai gay e agli oppositori del regime castrista. Ma questo regime – ribatterebbe subito Paolo Ferrero – ha impedito che il continente latino-americano diventasse il cortile di casa degli Stati Uniti. Con la stessa logica, allora, dovrebbe essere difeso il ruolo del fascismo islamico dell’Iran in Medio Oriente. In realtà, abituati a non considerare i diritti e i doveri della liberaldemocrazia come valori normativi, gli orfani del Pci di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer, una volta crollata la legittimità storica del fine ultimo, rischiano di trovarsi senza fini intermedi credibili e perciò votati all’immobilismo ideologico e al conservatorismo istituzionale.


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