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Vi racconto la vittoria di Trump tra i vittoriosi trumpisti

New York si riscopre capitale politica a stelle e strisce, nella notte elettorale che consegna al mondo Donald J. Trump come 45° presidente degli Stati Uniti d’America. È rarissimo che due candidati vivano la notte delle elezioni nello stesso stato: quest’anno si sono ritrovati a pochi passi di distanza. Affacciati entrambi su Central Park, pochi metri della 5th Avenue separavano Hillary Clinton da Donald Trump: la prima si è rifugiata al Peninsula, uno degli Hotel più lussuosi della città, dove ha vissuto l’incubo del suo spoglio. Proprio di fronte alla Trump Tower, cuore pulsante dell’impero di Donald.

Insieme alla Clinton pochissimi intimi: il marito ed ex presidente Bill, la figlia Chelsea, qualche stretto collaboratore tra cui la direttrice della sua campagna Jennifer Palmieri, che nella notte avrà l’ingrato compito di comunicare ai suoi sostenitori che “è finita, e di andare a casa”. Hillary non ha difatti il coraggio, o la forza, di pronunciare alcun discorso né tanto meno di recarsi al Jacob Convention Center, nel cuore di Chelsea a Manhattan dove si è radunata nel corso di tutta la giornata una folla infinita di suoi sostenitori.

Secondo programma, proprio al Jacob Center avrebbe dovuto pronunciare il discorso che l’avrebbe consegnata alla storia come primo presidente donna. La realtà, crudele, ha lasciato decine di migliaia di sostenitori sconvolti e soli, a ingoiare lacrime e incredulità. L’atmosfera chiassosa e festosa nello splendido Convention Center, adibito forse troppo frettolosamente a festa, ha lasciato nel corso della notte lentamente spazio al silenzio, alla tensione e alla paura. A nulla è valso lo sforzo dei numerosi vip alternatisi sul palco, dal mondo dello spettacolo come Katy Perry o politici come il governatore di New York Andrew Cuomo: mano a mano che passavano le ore, ricordavano sempre più i musicisti del Titanic. Un grande tabellone era perennemente connesso al live elections della Cnn: all’improvviso Ohio, North Carolina e Florida si sono tinte del rosso repubblicano. È calato il gelo, con decine di migliaia di persone ammutolite di colpo. Un’atmosfera da brividi. Molti hanno cominciato a uscire, capo chino, annusando la tragedia che per loro si andrà a consumare da lì poche ore.

New York è intanto avvolta in un silenzio spettrale. Times Square, la piazza più caotica del mondo, è ovattata nello stupore e nelle lacrime. Qualche sparuto, timido sostenitore di Trump compare solitario per rivendicare ciò di cui probabilmente si vergognava fino a qualche ora fa: il suo voto. Non è un mistero che la vittoria di Trump fosse considerata improbabile da sondaggisti, analisti e dagli stessi sostenitori di una e dell’altra parte. Per questo le strade di New York sono state sommerse ben presto dal blu democratico, con pochi cappellini di Trump a vagare solitari e circospetti. La maggioranza del Paese, silenziosa e spernacchiata, si è invece presa la sua rivincita.

Attorno alle due di notte arriva la conferma: Donald Trump ha superato i 270 delegati necessari per l’elezione. È il 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Di fronte al Peninsula, di fronte a Hillary, non c’è più nessuno. Qualche poliziotto disinteressato, due stoici reporter. Trump invece deve ora percorrere pochi passi fino all’Hilton, dove festeggerà la sua storica vittoria. Ad accompagnarlo un corteo di quasi cinquanta auto, sirene urlanti. Anche la sicurezza nazionale saluta il suo nuovo presidente. Quella che fino a poche ore prima era considerata da tutti la donna più potente del mondo, ora è sola. Sono le tre del mattino, quando il neo presidente eletto arriva all’Hilton accompagnato da tutta la famiglia e dai pochi repubblicani, che non l’hanno abbandonato durante l’assurda campagna elettorale. E che ora chiederanno certamente il conto a un partito trascinato alla conquista di tutto: Casa Bianca, Congresso e Senato come mai negli ultimi cinquant’anni, quando il timore diffuso era che Trump facesse sprofondare il “Great Old Party” in basso come mai. È presente Rudolph Giuliani, l’ex Sindaco di New York, gli ex rivali alle primarie Chris Christie e Ben Carson, il vice presidente Mike Pence. Finalmente arriva il discorso con cui Donald Trump si presenta ai cittadini a stelle e strisce come Presidente eletto: “Sarò il presidente di tutti”. Parole all’apparenza banali, ma che in bocca a The Donald appaiono ricche di significato. Non manca un accenno quasi affettuoso a Hillary Clinton, dopo una campagna elettorale ricca di insulti, anche feroci: “Ha fatto molto per il Paese” gli concede Donald. E ancora: “ha combattuto duramente, e merita rispetto”. Quel rispetto mai offerto negli ultimi mesi, in una campagna che sarà ricordati per i toni violentissimi.

Hillary gli risponderà solo il giorno seguente, sempre nel cuore della grande mela ma dall’Hotel New Yorker, concedendo la sconfitta e l’onore delle armi al neo presidente. Occhi lucidi, lo sfinimento neppure celato di una battaglia personale cominciata anni fa e oggi definitivamente persa. “Ho fatto le mie congratulazioni a Donald Trump, offrendogli la mia collaborazione”. Quindi l’ammissione della sconfitta: “Questo risultato rappresenta il dolore più grande della mia vita. Dobbiamo accettarlo, guardando al futuro. Trump è il nostro presidente”. Fuori dal New Yorker un vecchio orientale, vestiti malconci e cappellino rosso di Trump sulla nuca, incrocia un giovane bianco, elegantissimo nel suo abito che puzza di Wall Street. Si abbracciano: “God bless America”, si ripetono commossi. Anche questa è New York. Anche questa, è l’America che ha eletto Trump suo presidente.



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