Le sabbie del Sahara Occidentale tornano a muoversi pericolosamente, riaccendendo nuovamente i riflettori su uno dei tanti conflitti ancora irrisolti all’indomani dell’indipendenza dalle forze coloniali europee: la sovranità su un territorio – denominato Sahara Occidentale nelle carte geografiche – di 266 mila chilometri quadrati, conteso e rivendicato dal Marocco e il movimento indipendentista Polisario, quest’ultimo sostenuto e armato dalla vicina Algeria.
Tra tensioni accese ed altre più tiepide il conflitto continua dal 1976, e le sue ripercussioni sui paesi africani limitrofi (le frontiere tra Marocco e Algeria sono da anni chiuse) sono tutt’altro che secondarie a livello geopolitico, economico e di lotta al terrorismo. Questo fantasma post coloniale però sta nuovamente subendo un’accelerazione e c’è da preoccuparsi e chiedersi se non vi siano tutti i presupposti per il ritorno ad un conflitto armato. Da metà agosto, infatti, Guerguerat – frontiera tra Marocco e Mauritania – è diventata una fonte di tensione tra Rabat e il Fronte Polisario.
Ma è in questi giorni che sta maturando una possibile escalation, con le foto delle forze della autoproclamata Repubblica Araba Sahrawi democratica (RASD) insieme al neo eletto presidente del Fronte Polisario, Brahim Ghali, ritratto con i suoi soldati sulle sponde dell’Atlantico durante l’installazione di una postazione militare permanente a Al Guerguerat, a poca distanza dai soldati marocchini. Gli scatti che hanno fatto il giro dei media suonano per il Marocco come un affronto, una provocazione difficile da lasciare senza nessuna risposta. Si tratta di un inedito nella storia del conflitto che il Polisario arrivi fino all’Atlantico e controlli di fatto la frontiera tra Marocco e Mauritania. Una iniziativa pericolosa che si gioca tuttavia all’ombra di un’altra partita.
L’attivismo politico, diplomatico ed economico di Mohammed VI in Africa in questi ultimi anni tra visite e accordi in Senegal, Gabon, Mali, Costa d’Avorio, Guinea Conaky, Ruanda,Tanzania, Etiopia e Corno d’Africa – solo per fare qualche esempio – iniziano a dare i primi frutti ma anche a stravolgere vecchi scenari (la rivista Jeune Afrique lo scorso mese ha dedicato la copertina al monarca con un titolo illuminante “African King”). Questo preoccupa diversi contendenti, in primis gli algerini che all’ombra del RASD alzano la posta in gioco con il vecchio e irrisolto conflitto sul Sahara occidentale.
La penetrazione marocchina in Africa, in termini economici e finanziari, è ormai avviata e non sono in pochi a tradurla come nuova arma strategico politica per la contesa finale su quella che i marocchini chiamano “La causa nazionale”. Solo in questi giorni si è firmato un accordo tra Marocco e Nigeria per l’estensione della West African Gas Pipeline (WAGP), un gasdotto che dalla Nigeria arriverà sino in Europa. Il più grande progetto di gas in Africa occidentale che ha fatto storcere il naso non poco alla vicina Algeria.
Non sorprende, dunque, se a settembre scorso il Marocco abbia annunciato ufficialmente la sua volontà di riprendere il suo seggio in seno all’Organizzazione dell’Unione Africana (OUA) dopo averlo abbandonato nel 1984 in protesta per l’ammissione del Fronte Polisario nell’Organizzazione. Oggi Rabat ha qualche carta in più per poter contare sul sostegno alla sua causa con un Algeri più in declino che in ascesa.
Il prossimo gennaio inoltre, l’OUA dovrà trovare un sostituto al segretario uscente, la sudafricana Nkosazana Dlimini Zuma. Sono tre i candidati in sella: il senegalese Abdoulay Bathili, la keniota Amina Jibril e il chadiano Moussa Faki Mahamat. Ma c’è una situazione di blocco e non sarà facile trovare un accordo. Anche qui Marocco e Algeria sono l’ago della bilancia. E i due paesi con i loro rispettivi alleati sostengono candidati opposti.
Intanto i protagonisti provano a giocare tutte le carte a propria disposizione, e anche quella dell’immigrazione risulta essere sempre più decisiva. Negli stessi giorni in cui fa scandalo ad Algeri la cosiddetta “caccia all’uomo nero” che è stato un vero blitz nei quartieri di Algeri con la deportazione di più di 1400 africani in maggioranza dalla Nigeria, Niger, Liberia, Camerun, Mali e Guinea in un campo a Tamanrasset, 1900 km a sud del paese, per poi essere espulsi, il Marocco invece lancia la seconda fase di regolarizzazione dei migranti subsahariani nel suo territorio. Come dire: agli africani scegliere con chi stare.