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Amri e strage a Berlino, come la Germania discute e si divide sulla sicurezza

La morte di Amri, considerato l’autore della strage di lunedì 19 gennaio nel cuore di Berlino, oltre a essere riportata a caratteri cubitali anche su tutti i siti dei media tedeschi, ha ulteriormente infiammato il dibattito in Germania sulle forze di sicurezza tedesche, sui piani di sicurezza in vigore nel paese per sventare possibili attentati, sullo scambio di informazioni tra i servizi di sicurezza interni, organizzati a livello federale e, come ripetutamente hanno sottolineato i media, poco comunicativi tra di loro.

Il capo della CSU e governatore della Baviera Horst Seehofer, in una intervista al quotidiano die Welt dice chiaramente che se l’Unione governerà anche nella prossima legislatura, allora vuole vedere scritto, nero su bianco, che la Germania in futuro non accoglierà più di 200mila rifugiati all’anno. Una richiesta che se non verrà accolta potrebbe far decidere alla CSU di andare all’opposizione. Dalla Baviera sono sempre arrivati i toni più forti e risoluti.

È sempre stato compito della CSU fare la voce grossa, non foss’altro per non soccombere a fianco del fratello maggiore CDU. E non a caso il corpulento governatore di un tempo, Franz Josef Strauß, usava dire “più a destra della CSU non deve esserci mai nulla”. Una affermazione non più valida come si sa. Non solo è cresciuto dopo l’arrivo in massa dei profughi il partito populista Alternative für Deutschland (AfD), ma stando al sondaggio dell’Istituto INSA pubblicato dal tabloid Bild Zeitung, anche i fatti di Berlino hanno rafforzato l’AfD e indebolito (portandoli ai valori di questa estate i due grandi partiti CDU e SPD): l’AfD arriva al 15.5 per cento, (più 2.5 rispetto alla settimana precedente, un valore che aveva però già toccato in settembre); la CDU guidata dalla Kanzlerin Angela Merkel, è al 31.5 per cento (meno 1.5 punti); l’SPD scende al 20.5 per cento (meno 1 punto).

Ma molto più pressante è al momento capire come una persona giudicata estremamente pericolosa dalle forze inquirenti e di giustizia, nota per aver cercato di procurarsi anche delle armi, in contatto stretto con gli ambienti salafisti in Germania, abbia potuto “inabissarsi”, scrive la Frankfurter Allgemeine. Come sia potuto succedere che le autorità preposte a sorvegliare il soggetto “abbiano interrotto la sorveglianza perché non vi erano stati elementi che confermassero la supposta pericolosità”. E sempre sulla FAZ un altro commentatore scriveva, invece riguardo ai politici: “Il paese è cambiato. Certo, anche ai politici bisogna concedere dopo un fatto così cruento come quello di Berlino un momento di costernazione e basta. Dopo però i cittadini si attendono dai loro politici non solo appelli a mantenere la calma, a considerare che è umanamente impossibile sventare tutti gli attentati. Non vogliono ben altro dai consigli paternalistici su dove trascorrere le giornate e le serate prenatalizie. Quello che i cittadini si attendono dai politici è che rivedano la politica e le strategie di sicurezza”.

Prima dell’attentato di lunedì, i tedeschi erano abbastanza convinti che l’apparato di sicurezza del proprio paese fosse sufficientemente all’altezza della sfida terroristica. Ora è probabile che molti abbiano cambiato opinione al riguardo, e una operazioni come quella svolta nella notte di giovedì su venerdì, quando le forze di sicurezza hanno fermato a Duisburg due giovani fratelli kosovari, perché sospettati di preparare un attentato a un grande centro commerciale, venga percepita dai più come un colpo di fortuna.

A dibattere in tono piuttosto acceso sull’utilità o meno di rafforzare la normativa vigente sono in particolare i quotidiani progressisti. Così un vero atto di accusa è arrivato dalla Süddeutsche Zeitung, dove Heribert Prantl, una delle penne storiche di questo quotidiano, il quale riassumeva impietoso, uno dopo l’altro, gli errori commessi dagli inquirenti, ben prima della strage di Berlino, e di conseguenza le falle del sistema di sicurezza tedesco. Prantl ricorda che Amri aveva avuto il foglio di via, ma non era stato possibile rimpatriarlo in Tunisia, perché da parte delle autorità tunisine c’era stata molta reticenza: prima non lo si voleva tout court, poi ci sono stati ritardi da parte tunisina nel recapitare i documenti necessari (come peraltro era già accaduto in Italia). Per questo ad Amri era stata riconosciuto il diritto di permanenza provvisoria. La “Duldung” come si chiama in tedesco prevede però l’obbligo di residenza nel Land che l’ha concessa. In questo caso la regione era quella del Nordrhein-Westfalen. Ciò nonostante Amri spesso si trovava a Berlino, e di questo le forze di sicurezza erano al corrente. Vista la pericolosità accertata del soggetto, ci si sarebbe potuti avvalere dell’articolo 58, paragrafo a della legge sul permesso di soggiorno che prevede comunque la possibilità di un ordine di rimpatrio “per scongiurare una particolare pericolo per la sicurezza pubblica” e l’obbligo di firma quotidiano. Dopo aver elencato le norme esistenti, Prantl sottolinea: “Tutto queste misure cautelative esistono dunque già. Tutto questo prevede la legge che si occupa della ‘Sorveglianza di stranieri espulsi per motivi di sicurezza interna’.

Lo spazio di movimento di Amri doveva essere limitata a un unico quartiere. E qualora non si fosse presentato regolarmente alla firma lo si sarebbe potuto sottoporre a carcerazione preventiva e durante la stessa attendere l’arrivo dei documenti per rimandarlo in Tunisia. Invece, anche, la giustizia, anziché avvalersi degli strumenti a disposizione ha lasciato perdere”. La ricostruzione di quanto non è stato fatto serve a Prantl per sottolineare che il dibattito sulla riforma delle strategie di sicurezza in fondo è inutile, una toppa, per nascondere che gli strumenti ci sono già tutti, basterebbe applicarli meticolosamente. E il fatto stesso che non se ne sia fatto uso solleva invece altre domande. Prantl scrive: “Non è che gli inquirenti hanno visto in Amri un potenziale informatore e l’hanno lasciato fare nella speranza di arrivare a complici e sodali? E ancora, non è che le istituzione regionali hanno tenuto per sé dati acquisiti, anziché renderli noti ai colleghi degli altri Länder?.

L’ex direttore del quotidiano progressista di Berlino Tagesspiegel, nonché decano del giornalismo tedesco, Gerd Appenzeller è invece dell’avviso che alcune viti nel sistema sicurezza possano essere ulteriormente strette: per esempio per quel che riguarda la lista dei paesi sicuri dove rimandare chi chiede asilo. Tra questi vanno assolutamente inseriti i paesi del Maghreb, scrive Appenzeller. Chi poi arriva senza documenti in Germania deve sottoporsi a un test del DNA per poter stabilire con certezza la sua identità. Inoltre c’è bisogno di maggior e più rigorosa video-sorveglianza in tutte le grandi piazze, così come in tutti i punti di grande assembramento del paese. “Tutto questo è di una urgenza incredibile e nulla di tutte queste misure trasformerebbero il paese in uno stato di polizia o ridurrebbero la libertà di movimento dei cittadini”.

Il ministro dell’Interno Thomas de Maizière, nella conferenza stampa, dopo aver ringraziato l’Italia per l’ottimo lavoro ha chiuso dicendo: “Adesso possiamo parlare delle conseguenze da trarre. Indagheremo a fondo su come è stata gestita questa situazione (…) Voglio però anche ribadire che da tempo è pronta il disegno di legge su come rafforzare e rendere più efficaci le norme riguardo alla ‘Duldung’ di soggetti considerati pericoloso. E ancora sarà mia cura sottoporre ulteriori misure che possano rafforzare la sicurezza in Germania”


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