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Ecco il fantasmagorico programma a 5 stelle di Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista

Con qualche ritardo, ma comunque dopo la pubblicazione sul blog di Beppe Grillo della versione integrale e “tradotta bene“, un commento all’intervista che Alessandro Di Battista ha rilasciato al quotidiano conservatore tedesco Die Welt. Non un evento epocale, solo la conferma di quanto questi ragazzi siano profondamente confusi. Ciò premesso, a poco serve indagare se siamo di fronte a persone mosse da grande slancio ideale ma del tutto naif oppure ad un gruppo, orchestrato da un’organizzazione aziendale, che ha trovato la pietra filosofale per trasformare la rabbia in voti, prima del collasso finale di un paese che gioca disperatamente con la realtà.

In economia, Di Battista ribadisce una sorta di “opzione preferenziale” a favore delle piccole e medie imprese. E sin qui, nulla da ridire. Serve ridurre la pressione fiscale (ma va?), e “servono istituti finanziari pubblici che consentano investimenti a favore di queste imprese e il reddito di cittadinanza”. Che tradotto vuol dire semplicemente che servono banche pubbliche che facciano sempre e comunque credito. Anche quando le imprese sono debitori rischiosi, ad esempio perché il mercato dei loro prodotti si è ristretto o scomparso oppure perché non hanno abbastanza mezzi propri? Serve una “banca di stato” per impedire il fallimento di imprese comunque decotte?

Questa era la posizione di Cristina Fernandez De Kirchner per l’Argentina. Infatti chi le è succeduto sta lottando contro un’economia talmente compromessa da mettere a rischio ogni tentativo di riforma. Ma non divaghiamo. Un governo monocolore rivoluzionario pentastellato abolirebbe per legge il fallimento delle imprese che non ce la fanno? A leggere questa risposta di Di Battista, la risposta parrebbe affermativa. Ma forse siamo noi a non aver capito. Forse si consentirà alle aziende decotte di fallire, perché comunque l’imprenditore ed i suoi lavoratori potranno contare sul “reddito di cittadinanza”. E come fare, con le coperture? Forse non ricordate che, quando la legge fu presentata in parlamento, le coperture erano indicate in modo “dettagliato”. Era in realtà un libro dei sogni.

Di Battista passa direttamente alla copertura “all’ingrosso”, il jolly per tutte le stagioni della fallita politica italiana:

Domanda. “Come finanziare tutto questo tenendo conto del debito pubblico?

Risposta. “Con una seria lotta alla corruzione, che secondo le stime della Corte dei conti costa allo Stato 60 miliardi di euro l’anno. Variando i termini di prescrizione, che interrompono migliaia di processi. Ai politici corrotti va impedito di ricandidarsi. Tutto questo porta denaro nelle casse dello Stato: la corruzione triplica i costi delle opere pubbliche“.

Domanda. “Nella corruzione fa rientrare anche l’evasione fiscale?

Risposta. “Sì. E per evasione fiscale noi intendiamo i grandi evasori” (Questa domanda era nell’intervista originaria ma non è mai stata pubblicata su Die Welt, ndr).

Ah, ecco, la “lotta alla corruzione”, con una generosa porzione di zeta. L’evoluzione della specie rispetto alla “lotta agli sprechi” (che sono sempre quelli degli altri) ed alla spending review, perché anche in questo caso spesa pubblica improduttiva è sempre quella altrui. Quell’importo di sessanta miliardi è diventato un passepartout: non esiste base scientifica sulla sua veridicità ma c’è già chi sta correndo a spenderselo come copertura. Una vera cornucopia, una delle tante, l’ultima di una lunga serie di inganni ed autoinganni italiani. Ci sono anche altre coperture, in caso interessi:

Domanda. “La lotta alla corruzione basta da sola?

Risposta. “No, vogliamo anche aumentare di parecchio le tasse sul gioco d’azzardo, centralizzare la spesa statale, realizzare opere pubbliche funzionali, di dimensioni ridotte rispetto all’Expo o all’Alta Velocità. Vogliamo ridurre i costi della politica, gli stipendi di tutti i parlamentari, anche degli amministratori regionali. Del resto, Renzi ha speso soldi per il Jobs Act o per regalini fiscali, che ci sono costati miliardi di Euro – senza creare occupazione, benessere o creare domanda nel mercato interno“.

Possiamo concordare circa il fatto che Renzi abbia sprecato molti soldi per misure d’impatto discutibile. Ma tutte le altre misure “individuate” da Di Battista sono tratte di peso da un tema di quinta elementare. Resta da capire se questa è l’eta media degli elettori italiani. A giudicare dal riscontro elettorale del M5S, si direbbe di sì. E veniamo al credito:

Domanda. “A proposito di credito, qual è la sua posizione riguardo all’odierna crisi bancaria?“.

Risposta. “Vogliamo una banca centrale che eserciti una vigilanza reale e non sia controllata dalle banche, come accade in Italia. Vogliamo la divisione tra banche di risparmio e banche d’affari“.

Prima o poi, qualcuno informerà questi ragazzi che la banca centrale non è controllata da banche private né è privata. Nel frattempo, loro proseguono col lavaggio del cervello. Serve anche qualcuno che spieghi loro che l’essenza della crisi non è la commistione tra “banche di risparmio e banche d’affari”. Veniamo al centro di tutto. Sostiene Di Battista:

Noi vogliamo solo che siano gli italiani a decidere sulla moneta“.

Allora. Qui non si tratterebbe di un referendum per abrogare un trattato internazionale, ma solo di una consultazione “informale”. Sarebbe il governo monocolore pentastellato, in caso di maggioranza di favorevoli all’uscita, a prendersi cura di stracciare gli accordi in base ai quali siamo entrati nella moneta unica. Chi afferma che una simile consultazione sarebbe “incostituzionale”, sappia che una “pubblica consultazione” lo sarebbe assai meno o non lo sarebbe affatto (ma vi sono autorevoli pareri del contrario). Ma il punto non è questo, è un altro. Che accadrebbe, sui mercati, in caso di sondaggi favorevoli all’uscita, prima del voto referendario? Anzi, no, andiamo ancora più a monte: che accadrebbe sui mercati in caso di vittoria elettorale del M5S, tale da garantire una maggioranza autosufficiente? Vi facciamo un disegnino? No, vero? Notevole come, a distanza di anni, nella politica italiana continuino a girare ruminazioni di quella boiata del Wolfson Prize. Dall’euro si può uscire ma solo in modo disordinato. E questo è un understatement.

Se il referendum dei grillini è cervellotico, non appare molto più smart l’idea di chi insiste a vagheggiare un’uscita lampo, da weekend piovoso, e l’addobba di pensose ideuzze tipo “introduzione di controlli sui capitali”. Quelli servono, anzi sono fondamentali. Ma prima di arrivare all’uscita in un weekend si passa attraverso l’esito elettorale, la formazione di un governo, il suo giuramento ed il primo consiglio dei ministri. Sembra la famosa scena di PetroliniNerone che cerca di arrivare prima del suo misterioso adulatore tra la folla, nell’immortale sequenza “Bravo!”-“Grazie!”. Chi arriverà prima, l’astutissimo statista-economista, intento a compulsare “la letteratura scientifica”, o i mercati? Ah, saperlo. Ma ribadiamo: non è che dall’euro non si possa uscire. Si può, eccome. C’è l’attrito dell’integrazione tra mercati che viaggiano alla velocità della luce e di un sistema europeo delle banche centrali che rappresenta un’architettura (digitale) mai esistita prima d’oggi, nella lunga storia delle unioni monetarie fallite. Ma si può uscire. Ah, pensate che queste obiezioni valgono anche per la leggendaria “uscita concertata” tra i paesi dell’Eurozona. Ma valgono anche nel caso in cui la Germania decida di uscire da sola, ovviamente. Ma dall’euro si può uscire, e questa non è ironia. Ma forse prima dei grillini vedremo all’opera Marine Le Pen, chissà.

Forse i grillini vinceranno le elezioni, ed avranno anche una maggioranza autosufficiente. In quel caso sperimenteremo se i temi di quinta elementare divenuti programma di governo possono anche essere attuati. Nell’attesa, abbiamo già da ora l’enogastronomia, “il nostro petrolio”. Se a questo aggiungiamo che Di Battista è quello che, in una sagace citazione di Feuerbach, ci ha fatto sapere che “vogliamo mangiare quel che produciamo e produrre quel che mangiamo”, cioè fare protezionismo col coltello tra i denti e puntare su autoproduzione ed autoconsumo, come fossimo in una comune maoista, iniziate ad attrezzarvi con un orto, del pollame e qualche suino. Potranno servirvi a cercare il petrolio.


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