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Il copyright nell’era di Internet

Di Stefania Ercolani

Il lungamente atteso copyright package della Commissione europea è stato pubblicato ufficialmente il 14 settembre. Al suo interno, tra l’altro, una proposta di direttiva su diritto d’autore e mercato unico digitale, composta da norme piuttosto eterogenee, che vanno da nuove eccezioni obbligatorie in ambito digitale, all’attribuzione agli editori di news di un nuovo diritto per i loro articoli riprodotti in Rete; dall’introduzione di meccanismi per facilitare la circolazione europea di opere audiovisive, a obblighi di trasparenza e informazione nell’esecuzione di accordi tra autori e artisti e industrie culturali.

La novità più attesa è, per molti versi, quella dell’art. 13, sulla correzione del cosiddetto “transfer of value”, la distorsione nella catena del valore per cui le piattaforme digitali monopolizzano gran parte dei ricavi collegati alla distribuzione online dei contenuti creativi. La necessità di “colmare il divario di valore che nel tempo si è determinato a favore dei prestatori di servizi” a svantaggio dei titolari dei diritti era stata segnalata, da tempo, alla Commissione Ue dal governo italiano con una lettera a doppia firma di Dario Franceschini e Sandro Gozi, indirizzata ai Commissari Oettinger e Ansip.

La distorsione è sotto gli occhi di tutti. Gli utenti, amatoriali o professionali che siano, postano contenuti creativi di cui spesso non hanno i diritti e le piattaforme di user generated content (Ugc) come YouTube, Dailymotion, Soundcloud, monetizzano i contenuti senza assumersi responsabilità. Gli utenti condividono senza filtri i contenuti nei social network. Vari servizi online selezionano, aggregano e danno accesso a contenuti di altri portali web. Così, le varie piattaforme digitali trasformano i loro utenti in audience da vendere agli inserzionisti pubblicitari; gli utenti diventano l’asset grazie al quale questi provider finanziano la loro attività attraverso la pubblicità.

In più, piattaforme e motori di ricerca sono in grado di condizionare la diffusione e il successo dei contenuti protetti; questo si traduce in un enorme potere per quanto riguarda la diffusione dei contenuti e il flusso dei ricavi pubblicitari e determina uno squilibrio negoziale pesante per autori, artisti e industrie creative.

Causa prima del divario di valore, il value gap di cui si dibatte nella Ue, sono le norme riassunte nell’espressione “safe harbor”, ovvero l’esenzione da responsabilità delle piattaforme digitali di distribuzione dei contenuti rispetto alle violazioni commesse mediante i loro servizi, regolata dalla direttiva sul commercio elettronico (trasposta in Italia con il d.lgs. 70/2003). La direttiva e-commerce risale al 2000, quando l’offerta via Internet non era ancora alternativa ai media tradizionali; le norme sul safe harbor stabiliscono una forma condizionata di esenzione da responsabilità, a favore dei servizi online come trasporto dati, caching e hosting. Dal 2000, però, Internet è profondamente cambiata. Il successo di molte piattaforme si basa oggi sull’aggregazione di contenuti di altri servizi, che usano il safe harbor a loro vantaggio, per sfruttarne le potenzialità commerciali e per ridurre i rischi dell’investimento nei contenuti creativi.

Assistiamo al paradosso per cui le piattaforme Ugc ricavano dalla diffusione dei contenuti più di quanto facciano i servizi online che hanno simili contenuti come loro core business, come Spotify e iTunes. YouTube da solo ha più di un miliardo di utenti unici al mese e, in particolare, è il portale più popolare in Europa per quanto riguarda la musica (84%) contro il 68% di iTunes, il 62% di Spotify e il 28% di Deezer (dati Ipsos 2015).  YouTube è quindi diretto concorrente dei music provider, ma invoca spesso le norme a tutela delle piattaforme passive.

Secondo lo studio condotto da Ernst&Young per conto della Commissione Ue nel 2014 Creating growth: measuring cultural and creative markets in the Eu, il 56% degli utenti accedono a contenuti culturali via Internet.  Risultato confermato con ulteriori dettagli dallo studio nazionale Italia Creativa del 2015, che raccoglie i dati su tutti i settori culturali in Italia.

A livello europeo, lo studio più recente sul fenomeno del transfer of value è stato condotto da Roland Berger Strategy Consultants Cultural content in the online environment: analyzing the value transfer in europe. L’analisi svolge un interessante raffronto statistico tra i servizi di diffusione dei contenuti audio (Spotify) e video (Netflix) da una parte, e cinque categorie di cosiddetti intermediari tecnologici, dall’altra. Gli intermediari tecnologici considerati sono i motori di ricerca (Google), gli aggregatori (tuneIn), i social network (Facebook), i cloud locker,  e le piattaforme video (YouTube). Lo Studio certifica il forte impatto dei contenuti creativi sugli accessi degli utenti ai motori di ricerca (incidenza dei contenuti creativi 18%); ancora più forte l’impatto sui social media (incidenza dei contenuti creativi 43%), grazie alla circolazione di video e di file audio tra gruppi sempre più estesi di utenti. L’incidenza dei contenuti creativi rispetto agli incassi generati è ancora più alta per le piattaforme come Youtube (66%).

Dagli studi emergono due fatti importanti: il primo, i contenuti creativi in generale sono una porzione rilevantissima delle informazioni che circolano in Rete; senza opere e materiali protetti da diritto d’autore Internet perderebbe una componente insostituibile e la prima conseguenza sarebbe una massiva redistribuzione degli investimenti pubblicitari tra i vari media. Il secondo, l’allocazione dei ricavi generati dalla circolazione dei contenuti protetti su Internet non riflette minimamente il valore dei contenuti creativi. C’è un enorme trasferimento di valore dalle industrie creative agli intermediari tecnologici.

Vedremo presto se la proposta della Commissione Ue potrà portare al bilanciamento di questo squilibrio. Va certamente in questa direzione l’art. 13 (con i considerando 37-39) della direttiva, che si applica ai servizi online che danno accesso a una grande quantità di opere caricate dagli utenti. La proposta indica come strada maestra la collaborazione tra piattaforme e titolari dei diritti, una maggiore trasparenza per il riconoscimento delle opere, informazioni puntuali sulle utilizzazioni. La direzione è giusta, ma la strada è ancora lunga e tortuosa.

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