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Il rimedio è la povertà

È una grande opportunità, la povertà perché vuol dire tornare a industriarsi. Disporre di poco obbliga a un dettato di praticità e intelligenza. Povertà significa educazione e, anche, estetica perché la misura produce cose utili e anche dilettevoli.
Svezza all’uso e difende dall’abuso, la povertà. È parte per chi ha l’arte in fatto di agricoltura, artigianato o meccanica. La terra, il laboratorio o la fabbrica sono, infatti, i luoghi in cui ci si attrezza, in cui si semina e trasforma. Dove si coltivano idee e le cose si fanno. Il povero, per necessità, sviluppa sensibilità. Capisce la qualità di una stoffa, sa riconoscere il grado zuccherino di un frutto, le caratteristiche di una lega. Il povero ha perizia e manualità. Insomma: orecchio, naso e gola.
È perfino un tratto di nobiltà la povertà perché le mani di chi sa fare sono d’oro e riflettono la luce dell’intelligenza creativa.

Il problema degli italiani, specie al sud, non è quello di non essere diventati ricchi ma quello di non essere rimasti poveri. Di aver smarrito il senso delle cose. È la forza delle cose senza senso che si sta divorando ogni possibilità di riscatto. Il Natale, che è un motore umano e biografico, non fa che mostrare la deriva. La corsa verso le abbuffate di dolci e regali sempre meno autentici è la risposta maldestra di una comunità senza abilità orfana del decoro che s’impoverisce consumando.

Ecco, dunque, la pista di ghiaccio coperta dal più brutto dei teloni sotto un sole mite che un tempo ha baciato la forza di Achille e l’astuzia di Ulisse; ecco il ristorante messicano che sforna ricette anonime. Ecco i titoli di coda di una deriva pittoresca e fuori luogo.

Goffredo Parise, in tema di povertà, sosteneva che la divisa dell’Armata Russa, disegnata da Trotzky nel 1917, fosse bella e giusta perché povera e necessaria. Era fatta di un enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella rossa cucita a mano in fronte. Già, proprio come quella del coro che è finito nelle acque del mar Nero.

Sono stato alla Ferrovia oggi. A vedere passare il treno. L’erbaccia si stava divorando la massicciata nascondendo alla vista il porfido. Il mare, là di fronte, saggio e neutrale, si limitava a ossidare insegne e ringhiere. Il suo modo di inviare messaggi di aiuto.


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