Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Industria 4.0, punti di forza e punti da chiarire

Di Marco Bentivogli, Elena Prodi, Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi
tecnologia, Marco Bentivogli Maggio

I PUNTI DI FORZA

• Ottima la scelta di non procedere con una vecchia idea di politica industriale orientata da finanziamenti diretti, bandi e indicazioni specifiche di tecnologie e beni strumentali sui quali investire, preferendo una impostazione caratterizzata da neutralità tecnologica e da incentivi automatici facilmente accessibili senza intermediazioni burocratiche e/o politiche.

• Ottima la decisione di affidare al Governo ruoli non dirigistici ma di coordinamento, razionalizzazione, semplificazione lasciando lo spazio agli stakeholder dei quali si tenta di stimolare l’azione o l’investimento attraverso meccanismi di co-responsabilizzazione, condividendo rischi e opportunità, per moltiplicare l’impatto dell’impegno finanziario del governo.

• Ottima l’impostazione costruita su due canali paralleli e complementari degli investimenti e delle competenze necessarie per governarli.

• Bene il numero ridotto e selezionato dei competence center che non devono replicare la logica italiana dei mille campanili e delle mille eccellenze che però non riescono mai ad aggregarsi a fare sufficiente massa critica.

• Bene la consapevolezza che, pur essendo le imprese al centro del piano Industria 4.0, sono imprescindibili diversi attori come le università, i centri di ricerca, le start-up, i finanziatori purché sappiano lavorare in una logica di aggregazione e di condivisione e non in termini chiusi.

• Molto positiva la distinzione tra il ruolo dei digital innovation hub e i competence center, sia rispetto alla mission che alle loro caratteristiche, in modo da avviare due canali.

• Molto positiva l’aumento dei posti per percorsi di alta formazione all’interno degli ITS.

• Molto positivo l’accenno alla contrattazione di prossimità e al salario di produttività che tuttavia devono oggi essere declinati da nuovi soggetti della rappresentanza e da nuove dinamiche del sistema di relazioni industriali destinate a superare la centralità non solo del contratto collettivo nazionale di lavoro ma anche del concetto di settore professionale (soppiantato dal mestiere) e di contratto aziendale (superato da accordi individuali e da sistemi sussidiari di welfare stabiliti anche su base aziendale e territoriale).

I PUNTI DA CHIARIRE

• È importante chiarire il ruolo delle PMI all’interno del piano, per evitare che rischino di essere escluse dalla logica dei grandi player quando invece potrebbero essere valorizzate al meglio, per la loro “agilità” organizzativa e decisionale, all’interno dell’Industria 4.0 declinata in un modello italiano. In questa prospettiva andrebbe ripensata la normativa dei contratti di rete che oggi esclude dalle aggregazioni soggetti non imprenditoriali che pure potrebbero fungere da propulsore e cervello, come nei casi delle università e dei centri privati di ricerca, ovvero come fornitore di competenze e manodopera specializzata come nei casi delle scuole e di altri centri di formazione.

• Non è chiaro il ruolo operativo che svolgerà la cabina di regia, con il rischio che i diversi soggetti non siano nelle condizioni di svolgere un ruolo propulsivo per lo sviluppo del piano. A questo proposito riteniamo fondamentale costruire gruppi di lavoro di rete con i soggetti di maggiore prossimità di tutti gli ambiti, interessati e da tempo attivi su tale processo.

• Non è chiaro come verranno coinvolti gli hub e centri di aggregazione oggi esistenti come per esempio i cluster e i numerosi parchi scientifici e tecnologici che pure sono un caso di studio di estremo interesse per evitare, nella costruzione dei competence center, errori del passato bene evidenziati dalla letteratura che ne hanno ampiamente frenato lo sviluppo e le potenzialità.

• È necessario approfondire i criteri di individuazione dei competence center, che non possono essere unicamente legati alle eccellenze universitarie ma devono valorizzare determinati ambiti e settori produttivi di strategica priorità per l’economia italiana e sui quali si vuole investire e concentrare nei prossimi anni le attività di ricerca e sviluppo (come ad esempio recentemente avvenuto nel caso olandese in funzione del sostegno a Industry 4.0. Una politica industriale tesa a valorizzare più la specializzazione settoriale del tessuto produttivo o specifiche tecnologie faciliterebbe l’organizzazione e il coordinamento delle politiche educative e delle competenze richieste rispetto fabbisogni espressi dal tessuto produttivo stesso. Tuttavia, occorre avviare una riflessione su un approccio all’innovazione che implementi un paradigma più mission-oriented che consenta di stimolare e dare forma alla domanda di innovazione focalizzandosi sui problemi concreti, piuttosto che su specifici settori (es. trasporti) o tecnologie (es. digitali per la manifattura). Un approccio di questo tipo (che non esclude la valorizzazione di certi settori e/o tecnologie) permetterebbe di attrarre capitale umano e finanziario dall’estero attraverso aggregatori, ossia i competence center, che incrocino le competenze provenienti da più settori centrati su grandi sfide sociali che interesseranno il paese nell’arco dei prossimi anni, anche per aumentare la propria competitività sui mercati internazionali. Occorre poi chiarire quale possa essere il modello giuridico per il competence center e con esso la sua governance (che deve essere agile) e la struttura fisica.

• Non è chiaro se i competence center avranno un polo centrale nelle Università o se invece, come preferibile, saranno una entità autonoma, non for profit e indipendente, così come non è chiaro se saranno connessi a realtà geografiche precise o se supereranno le tradizionali logiche territoriali per abbracciare in maniera trasversale tutte le Regioni italiane.

• Non è chiaro quali siano i compiti svolti dai singoli attori, chi si debba occupare di formazione, chi di awareness, chi di sviluppo e dimostrazione di tecnologia ecc.

• Non è chiaro l’ambito di riferimento e di azione dei competence center, se cioè un territorio o un settore o ambito di produzione.

• Il potenziamento dei dottorati industriali è positivo solo nella misura in cui si interverrà rimuovendo gli ostacoli che impediscono la messa a regime di questi innovativi percorsi di formazione dottorale e segnatamente i criteri di accreditamento, in particolare aprendo a una diversa composizione dei collegi docenti che possa comprendere anche rappresentanti delle imprese e non solo docenti strutturati; i contenuti dei percorsi formativi che ancora non incrociano adeguatamente le esigenze dell’università e quelle delle imprese, che oggi richiedono ricercatori moderni in possesso di competenze non solo tecniche e professionali in senso stretto, ma anche manageriali, organizzative e trasversali; i criteri di valutazione delle tesi di dottorato, ancora troppo accademici e, con essi, la difficoltà che i dottorandi incontrano di fronte alle richieste di pubblicare articoli estratti dalle loro tesi i cui contenuti non sempre possono essere divulgati nell’ambito della ricerca industriale.

• Al di là della incoraggiante esperienza della alternanza della “Buona Scuola” non è chiaro se vi sia intenzione di un avviare un profondo rilancio dell’apprendistato scolastico e universitario che è la vera alternanza per durata e per maturazione di competenze utili ai processi di Industria 4.0 come bene dimostra il caso tedesco. Industria 4.0 non è semplicemente una rivoluzione tecnologica ma una rivoluzione di mestieri, modi di lavorare, competenze, professionalità, contratti, sistemi di misurazione del tempo di lavoro e della sua produttività che oggi non sono adeguatamente presidiati né dalla scuola/università né dai sistemi di formazione per gli adulti (i fondi interprofessionali per la formazione continua in primis).

×

Iscriviti alla newsletter