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Le ultime novità fra Europa e Ucraina

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Il Consiglio europeo del 15 dicembre ha portato con sé anche una decisione riguardo all’Ucraina e all’Accordo di Associazione firmato con l’Unione europea il 27 giugno 2014. L’Accordo è una specie di road map con obiettivi puntuali di avvicinamento agli standard dell’Unione, dall’apertura dei mercati al rispetto dei diritti, dalla gestione dei rifiuti urbani al contrasto alla corruzione. Come tale, è stato spesso interpretato in Ucraina come un primo passo verso l’adesione. Ebbene, con i tempi che corrono andava chiarito il perimetro dell’Accordo, anche perché il 6 aprile 2016 i Paesi Bassi avevano votato in un referendum contro la sua ratifica, nel clima arrabbiato che anticipava il referendum britannico del 23 giugno. Sebbene minacciasse torme di immigrati a portar via il lavoro olandese, lo slancio populista di Geert Wilders tirava di fatto la volata ai frenatori dell’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, sostenuto dalla rivolta di Euromaidan e tanto osteggiato dalla Russia. Infatti, senza la ratifica neerlandese l’Accordo può solo funzionare a spizzichi e in modalità provvisoria, non può entrare pienamente in vigore. Per cui andava trovata una quadra.

NESSUN OBBLIGO DI DIFESA, DI ADESIONE, DI LIBERA CIRCOLAZIONE. TUTTO SARA’ POSSIBILE

Al Consiglio europeo si è quindi reso compatibile il risultato negativo del referendum consultivo olandese con l’Accordo di associazione: e nei dettagli si cela l’inghippo. Quindi, anche se l’Accordo ha l’obiettivo di una “relazione più stretta”, non conferisce né obbliga (ma neppure non lo esclude per il futuro) a dare all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione. Sebbene preveda una cooperazione nell’ambito della sicurezza, l’Accordo non prevede alcun obbligo per l’Unione o per i suoi Stati membri di provvedere a garanzie di sicurezza collettive, o altro aiuto militare (e infatti è un problema di altri, individualmente o in ambito Nato). Sebbene promuova la mobilità dei cittadini, l’Accordo non garantisce alcun diritto ai cittadini ucraini ed europei di risiedere e lavorare liberamente nei rispettivi territori: ma è scontato che per arrivare a Schengen la strada sia ancora lunga. Infine, malgrado confermi l’impegno dell’Unione nel suo insieme a sostegno delle riforme in Ucraina, l’Accordo non comporta costi addizionali per gli Stati membri, che continueranno a essere decisi su base bilaterale, e così Wilders non potrà prendersela con il suo governo nazionale. Insomma, un perimetro limitato per il presente, ma pieno di scappatoie e possibilità per il futuro.

IL SENSO POLITICO: MENO ENTUSIASMI, E LAVORARE

Nel burocratese diplomatico dell’affermazione solida ma delle strade aperte, la decisione del Consiglio europeo comporta comunque due effetti: da un lato chiarisce il limite politico dell’Accordo di associazione, raffreddando entusiasmi e rasserenando un pochino il vicino russo, dall’altro ne permette la ratifica e l’attuazione, permettendo di procedere su molti capitoli che restano ben lontani da qualsiasi ipotesi da Paese candidato.

Il presidente ucraino Petro Poroschenko era ben al corrente di tale percorso, in ultimo al summit UE-Ucraina del 24 novembre scorso. Se ne riparlerà al prossimo Consiglio bilaterale UE-Ucraina che si terrà a Bruxelles il 19 dicembre, alla presenza del primo ministro Volodymyr Groysman. Questo segnale di preoccupato accomodamento si accompagna a altri passaggi in cui il posizionamento del Paese presenta ancora incertezze, tra nuove amicizie russo-statunitensi, strategie russe ed effetti dell’apertura dei mercati.

L’UNIONE EUROPEA VA AVANTI MALGRADO GLI ANNUNCI DI TRUMP

Per intanto, l’Unione europea sembra andare per la sua strada: il 17 novembre il Consiglio aveva approvato un procedimento che unisce liberalizzazione dei visti (per Georgia e Ucraina previsti da febbraio-marzo) a un meccanismo rapido di ripristino dei controlli in condizioni di urgenza, e il Parlamento europeo l’ha confermato in plenaria l’8 dicembre. Inoltre, il Consiglio europeo ha confermato proprio il 15 dicembre la proroga delle sanzioni alla Russia per altri sei mesi, a conferma del principio dell’integrità territoriale ucraina. Alcuni europei non sembrano infatti sconvolti dai tweet del presidente eletto Donald Trump, che giurerà il prossimo 20 gennaio: pur frenata dall’Italia, la Polonia aveva persino chiesto l’estensione delle sanzioni alla Russia non per sei, ma per dodici mesi.



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