Sono 60mila le aziende pronte per la internazionalizzazione, per entrare a far parte della «cerchia del 20%» delle imprese italiane che fanno quasi tutto l’export del Paese. Lo ha detto il ministro allo sviluppo economico, Carlo Calenda, in un intervento video nel corso della presentazione di una ricerca sul mercato italiano dei capitali realizzata da Equita e Università Bocconi, ieri a Milano.
IL REPORT
«Una analisi – ha osservato Calenda – che mostra andamenti non omogenei. Questo può sembrare sorprendente ma invece non lo è. Perché è tutta l’industria italiana, anche i servizi, che ha un andamento disomogeneo. Dal 2007 al 2014 abbiamo avuto una crisi violentissima in Italia, che si è riverberata sul potenziale industriale del Paese in modo senza precedenti con quasi il 25% del potenziale industriale che si è annichilito».
L’ANDAMENTO DELL’EXPORT
«D’altro canto – ha precisato il ministro – abbiamo avuto performance sempre crescenti sull’export. Tale per cui tra lo scorso anno e questo, aspettiamo i dati, facciamo un record con 414 miliardi di beni esportati, un saldo commerciale dei beni manifatturieri che ci colloca al quinto posto nel mondo e un nucleo di aziende molto competitivo sui mercati globali». Investimenti e internazionalizzazione saranno i driver della crescita futura su cui il governo, ha detto Calenda, intende basare la nascente politica industriale italiana. «Allargare quel nucleo del 20% di campioni dell’export è l’obiettivo di crescita fondamentale di politica industriale del governo. Stimiamo di avere circa 60mila imprese pronte a fare questo salto. Il fattore fondamentale è la capacità di investimento». Questo è il motivo per cui «nell’ultima legge di bilancio abbiamo messo il più grande piano mai fatto di incentivi fiscali automatici agli investimenti, in particolare orientato alla manifattura ma non solo, orientati alla quarta rivoluzione industriale che premiano le pmi ma non solo».
SERVE PIU’ VENTURE CAPITAL
E tuttavia potrebbe non bastare. Perché «Le industrie e le aziende italiane sono molto appoggiate al sistema bancario italiano che ha attraversato un periodo di grave difficoltà perché la crisi ha impattato sulle imprese e quindi sugli nel – ha detto ancora Calenda, concludendo che per sostenere investimenti e internazionalizzazione «un ruolo decisivo può averlo il private equity, con lo sviluppo del settore del venture capital».
LO STUDIO EQUITA-BOCCONI
L’analisi presentata a Milano aveva al centro le performance dell’equity e dei titoli di debito italiano. Che, negli anni della crisi, precisamente tra il 2006 e il 2016 avrebbero generato rendimenti. In particolare, l’azionario «avrebbe garantito agli investitori rendimenti interessanti se essi avessero effettuato un efficace stock picking e se si fossero focalizzati sulle imprese di medie dimensioni, appartenenti ai settori dell’eccellenza industriale italiana (come moda, food beverage e automotive, insieme ad altri player emergenti nel campo dell’e-commerce) e con fondamentali robusti». E questa, in sintesi, l’evidenza maggiore dello studio realizzato da Dipartimento Baffi Carefin Centre for Applied Research in Finance dell’Università Bocconi in collaborazione con Equita Sim. «Il Ftse Star, indice che include la maggior parte delle medie imprese più virtuose appartenenti ai settori strategici dell’industria italiana – hanno specificato nel corso dell’evento Stefano Caselli prorettore per l’internazionalizzazione Università Bocconi e Baffi Carefin e Stefano Gatti direttore Full Time Mba, Sda Bocconi e Baffi Carefin – ha mostrato una performance del 2% medio annuo a cui si deve sommare un ulteriore 2,7% medio annuo relativo ai dividendi distribuiti».
COME VA IL PRIVATE EQUITY
Ancora, secondo lo studio, in linea con i risultati ottenuti nell’ambito dell’equity quotato, anche gli investimenti in private equity italiano avrebbero offerto nel corso del periodo considerato ottime possibilità di rendimento. Secondo i dati riportati da AIfi e Kpmg, l’Irr (rendimento interno) medio lordo nel corso degli ultimi 10 anni è stato dell’8,8% annuale. Questo risultato deve essere letto ancor più positivamente, si legge nella ricerca, perché ottenuto in un contesto di accresciuta difficoltà di disinvestimento, conseguente al fatto che a inizio periodo i fondi avevano acquistato a multipli d’ingresso più elevati favoriti dalla facile accessibilità ai finanziamenti nel periodo precedente la crisi.
CORPORATE DETERIORATI
Nel mercato del debito, invece, la tendenza generale è stata quella di un calo nei rendimenti per le obbligazioni corporate italiane. Tale calo indica, in circostanze normali, un miglioramento della qualità del credito degli emittenti. Al contrario, sia gli emittenti finanziari sia quelli industriali sono stati colpiti da un deterioramento del rating, per lo più legato alla crisi economica. Tale incoerenza è spiegata dalle straordinarie misure di politica monetaria messe in campo dalla Bce. In ottica relativa, le obbligazioni corporate italiane hanno garantito rendimenti più elevati rispetto ad altri paesi europei, per lo più spiegati dalla crisi del debito sovrano e da un più elevato rischio paese, nonostante la solidità dei fondamentali delle imprese (dimostrato dalla bassissima incidenza di fallimenti durante la grave recessione economica). «Lo studio di quest’anno – spiegano Gatti e Caselli – analizza in maniera più critica i luoghi comuni che caratterizzano il mercato italiano e dimostra che, anche tra le molteplici difficoltà imposte della crisi economica e finanziaria, le aziende industriali appartenenti al tessuto italiano sono state capaci di garantire rendimenti a chi in esse ha riposto la propria fiducia».
COME INCENTIVARE GLI INVESTIMENTI SECONDO PERILLI
Francesco Perilli, amministratore delegato di Equita Sim, apprezza «nella legge di bilancio 2017 sia stata approvata una serie di incentivi fiscali volti ad aumentare il numero degli investitori domestici in titoli azionari e di debito di imprese italiane e che tali iniziative, per la prima volta, incentiveranno gli investitori di lungo termine sia istituzionali che retail. Ci aspettiamo che tali misure – conclude – avranno un impatto significativo sui nostri mercati dei capitali e siamo sinceramente grati al governo per l’adozione di tali fondamentali interventi».
LE PAROLE DI PROFUMO (EQUITA) SUI PIR
A margine del convegno, Alessandro Profumo, presidente di Equita Sim si è espresso con parole lusinghiere anche verso i Pir, i piani individuali di risparmio di recente apportavi dal governo che «spingeranno le famiglie italiane a detenere i titoli finanziari per un lungo periodo, visto che ci sono dei benefici fiscali importanti, quali la totale esenzione sui frutti – che siano dividendi o che siano capital gain – per investimenti che vengono detenuti per almeno cinque anni, fino a un ammontare, per ogni singolo anno, di 30mila euro». In altri Paesi i Pir hanno aumentato il peso degli investitori domestici sul mercato che è un dei maggiori problemi del mercato italiano, «siamo molto in mano a investitori stranieri, cosa che in genere consideriamo come positiva perché significa che il nostro mercato è attrattivo e liquido, però poi finisce che quando gli investitori stranieri comprano o vendono, comprano o vendono tutto il listino o tutto il mercato, non lo fanno per singoli titoli. Avere uno zoccolo duro di investitori italiani pensiamo che sia molto importante», ha concluso Profumo.