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Capitale, politica e mercati nel 2017

Di Alessandro Picchioni
Pfizer, export, messico, Donald Trump

Entriamo nel 2017 fiduciosi ma anche consapevoli che l’anno potrà avere un andamento ancora più complicato del precedente. È possibile che qualche altro evento politico inatteso, dopo Brexit e l’elezione di Donald Trump, venga favorito da quello “scontro” che si sta profilando in molti Paesi occidentali da ormai qualche anno: lo “scontro” tra capitale e lavoro. I rialzi dei mercati azionari dal 2009 poggiano largamente sull’idea del mercato globale e sulla ricerca di un aumento della produttività che passi dall’applicazione della tecnologia e soprattutto da una ricerca spasmodica di riduzione dei costi da parte delle imprese.

Nel tempo questo processo ha portato ad un miglioramento delle condizioni di vita in molti Paesi del mondo in cui solo 30 anni fa si viveva con 5 dollari al mese. Al tempo stesso, però, si è assistito ad uno sgretolamento del benessere accumulato da gran parte delle classi medie dei Paesi dell’Occidente. A volte, in alcuni specifici casi, con vere e proprie mortificazioni delle conquiste dei lavoratori degli ultimi 40 anni. Questo squilibrio porta nel tempo al risentimento di vaste fasce di popolazione che, con una minor ricchezza disponibile e senza una precisa visione del futuro, non spendono, inceppando i meccanismi di ogni ripresa economica, accumulano rabbia contro le classi dirigenti e scelgono il voto di protesta ogni qualvolta vengano chiamati alle urne.

In molti Stati europei questo è riscontrabile e ben noto, deve invece farci riflettere il fatto che Trump sia stato eletto da una fetta di elettori che versa in queste condizioni proprio nel Paese, appunto gli Usa, che ha largamente prodotto la miglior crescita economica e la miglior performance del mercato del lavoro dai tempi della crisi finanziaria. Questo, a nostro avviso, rappresenta un passaggio cruciale e raccomandiamo agli investitori massima allerta. Al prossimo appuntamento elettorale che avrà un esito inatteso per effetto dei voti di protesta, infatti, la reazione dei mercati potrebbe non essere più quella critica ma benevola del post-Brexit o quella compiaciuta del post-Trump. Si potrebbe assistere ad un contesto in cui i miglioramenti dei margini delle grandi aziende quotate dell’ultimo decennio non saranno replicabili nel prossimo futuro. Inoltre, lo scenario politico più plausibile per il futuro potrebbe poi essere quello di una campagna elettorale permanente con uno scontro infinito tra forze centrifughe (etichettate come populiste) e forze centripete (tese alla conservazione dello status quo), in una sorta di ripetizione del caso inglese in cui un partito tradizionale, quello conservatore, ha di fatto saccheggiato i principi del partito populista, lo Ukip, per vincere le elezioni, salvo poi farsi sfuggire di mano la situazione al momento del referendum sulla Brexit.

In base a questo modello, la variante populista potrebbe diventare una tentazione enorme per i partiti tradizionali, minando alla base le certezze di cui ha bisogno il capitale nelle sue logiche di lungo termine, e le conseguenze per i mercati potrebbero essere imprevedibili ma tendenzialmente negative. In questo senso, ed a conferma delle nostre idee, ci piace constatare l’opinione che sta emergendo nel settore del risparmio gestito e tra qualche politico votata alla più assoluta compiacenza nei confronti degli imprevedibili eventi politici del 2016 ed in particolare al fatto che non abbiano prodotto impatti negativi sulle attività finanziarie.

Il loro pensiero è che viviamo ormai nello scollamento completo tra politica e mercati, in cui i secondi viaggiano con loro logiche e dinamiche quasi sospesi in un tempo eterno che non appartiene alla vita terrena. A loro avviso la politica non influenza i mercati né li farà deragliare dal sentiero di crescita a lungo termine. Noi invece pensiamo che la reazione al post-Brexit ci sia stata nel momento in cui la sterlina ha perso un quarto del proprio valore rispetto a prima del voto (ancora oggi il 12% contro euro ed il 20% contro dollaro), e sia stata mitigata solo dal fatto che gli stessi politici inglesi, in preda ad uno shock, stanno prendendosi tutto il tempo possibile per il processo di uscita. Solo per questo motivo i mercati ci hanno ripensato e dopo forti turbolenze sono tutti risaliti (ad eccezione della sterlina) al di sopra dei livelli pre-referendum. Trump, invece, pur rappresentando, in linea teorica ed in base a come si è espresso finora, una minaccia a quella globalizzazione che ha costantemente favorito i redditi da capitale ed i mercati azionari, si propone comunque di attuare un mix tra la ricetta liberale della detassazione (di Reaganiana memoria) e quella del fiscal spending votato alla spesa in infrastrutture. Senza ulteriori specifiche che apprenderemo soltanto dopo il suo insediamento, questa ricetta non può che piacere al mercato e riteniamo del tutto coerente l’attuale fase di rialzo delle quotazioni.

Il punto vero però è che se nel 2017 vincesse Marine Le Pen in Francia o Geert Wilders in Olanda o Lega/5 Stelle in Italia o AFD in Germania non c’è da aspettarsi la reazione benevola del post-Brexit o post-Trump, perché stavolta i mercati potrebbero soppesare le incertezze con una reazione negativa improvvisa, stile 1987, che non darà scampo a chi non si sia preparato per tempo.

A cura di Alessandro Picchioni, Presidente e Direttore investimenti di WoodPecker Capital



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