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Come gli ambientalisti Usa fanno la guerra a Trump

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Gennaio negli Stati Uniti sarà il mese della resistenza “verde”, l’inizio di una serie di azioni di contrasto alle annunciate politiche sull’energia del nuovo presidente Donald Trump che, avvertono le organizzazioni ecologiste, si protrarranno per tutto il 2017. A scatenare la battaglia degli ambientalisti sono le scelte di gabinetto di Trump, che ha messo insieme una serie di “climate deniers“, negazionisti del cambiamento climatico.

“FERMATE I NEGAZIONISTI”

L’ex governatore del Texas Rick Perry scelto come segretario all’Energia (tra le altre cose, ha definito il cambiamento climatico “fasullo”), Scott Pruitt (che come procuratore generale dell’Oklahoma ha fatto causa a vari provvedimenti pro-ambiente di Obama) nominato capo della Environmental Protection Agency (Epa)Rex Tillerson, Ceo di ExxonMobil, la più grande energy corporation del mondo, come Segretario di Stato: queste le nomine considerate “scandalose” dagli ambientalisti e che hanno spinto 350.org (no-profit internazionale che mobilita attivisti contro l’industria degli idrocarburi) ad avviare il 9 gennaio la mobilitazione nazionale “Stop the Climate Denier Cabinet” chiamando a raccolta tutte le sezioni di 350.org nei 50 Stati Usa per portare la protesta sotto gli uffici distrettuali dei senatori. All’azione hanno aderito altre organizzazioni internazionali o locali, tra cui Sierra Club, Climate Truth e Oil Change International.

PRUITT, L’ANTICRISTO

Pruitt in particolare è visto come l’anticristo per la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici e la difesa dell’ambiente: il nuovo numero uno dell’Epa non ha esitato a chiamare gli scienziati allarmisti e il cambiamento climatico una truffa tanto che, secondo alcune organizzazioni ecologiste Usa, i ricercatori ambientalisti impiegati dal governo americano stanno già salvando tutti i loro dati su server privati in via precauzionale, nel timore che Trump e i suoi ordinino di cancellare elementi che proverebbero i cambiamenti climatici a favore delle posizioni che negano l’innalzamento delle temperature globali.

Non a caso Sierra Club ha organizzato una manifestazione di piazza a dicembre a New York contro la nomina di Pruitt, gridando lo slogan “Don’t Trump the planet” (gioco di parole tra il cognome del presidente e to trump, relegare qualcosa in secondo piano). Sierra Club è il più grande gruppo ambientalista dell’America e dopo le elezioni di Trump ha ricevuto più donazioni che negli ultimi quattro anni. “Se Trump pensa di portarci indietro ai tempi del dominio esclusivo degli idrocarburi, troverà lungo la sua strada un’opposizione senza precedenti”, promette l’executive director Michael Brune.

NIENTE PIU’ OSTACOLI AGLI IDROCARBURI 

Per gli ambientalisti più convinti nemmeno l’illuminato Barack Obama era un santo e non sono mancati gli scontri sugli oleodotti Keystone e Dakota Access, ma questo è niente in confronto alle proteste che si preparano contro Trump su temi chiave come cambiamento climatico, fracking, difesa delle riserve idriche.

Obama ha infatti alla fine bloccato Keystone XL (un progetto per portare 800.000 barili al giorno di greggio dall’Alberta, in Canada, passando per gli stati centrali Usa, verso le raffinerie di Texas e Louisiana) ma Trump è pronto a rimuovere ogni blocco. Trump ha detto anche che vuole risolvere “molto rapidamente” lo stallo del progetto Dakota Access fermato dal governo federale dopo mesi di proteste da parte dei Nativi americani. Il neo eletto presidente ha promesso di eliminare gli “ostacoli” al pieno sviluppo dei progetti su petrolio, gas e carbone e minacciato di cancellare ogni spesa destinata alle energie pulite e alla lotta al cambiamento climatico.

“Prevedo che questo oleodotto sarà completato e pienamente operativo in 18-24 mesi”, ha dichiarato su Keystone Brigham McCown, first acting administrator della Pipeline and Hazardous Materials Safety Administration nel 2005-2006. “Se il presidente Trump dice ‘Fatelo’, si fa“.

PROTESTE ANCHE NEI CAMPUS

Non sono solo gli oleodotti Keystone e Dakota Access a infiammare la protesta: negli Stati Uniti risultano in cantiere, rivelano gli ecologisti, almeno 14 oleodotti e gasdotti, con impatti su almeno 24 Stati dell’Unione e che aggiungerebbero 2,5 milioni di miglia di tubi che trasportano greggio e gas naturale alla rete attuale degli Stati Uniti, già la più ampia del mondo per il trasporto dell’energia. Tra i più contestati da ambientalisti e comunità locali c’è il progetto Sabal Trail Transmission, joint venture tra Spectra Energy Corp, NextEra Energy e Duke Energy, circa 515 miglia di gasdotto che attraversano Alabama, Georgia e Florida.

Ma l’elenco dei progetti sgraditi alle associazioni green è molto lungo e 350.org sta chiamando a raccolta anche i campus universitari contro l’amministrazione dei “climate deniers” facendo leva sugli studenti che hanno aderito al “divestment movement”. Investire in fonti fossili è immorale, dice il movimento trasversale che sta spingendo fondi di investimento di ogni genere (dai fondi pensione agli asset manager), compresi quelli proposti dalle università, a dare più spazio ai progetti sulle rinnovabili accantonando quelli sugli idrocarburi; secondo Arabella Advisors ci sono già 688 fondi di investimento, per un totale di 5.000 miliardi di dollari gestiti, che hanno modificato il portafoglio verso progetti più “responsabili”.



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