Partirà da Pechino il progetto di aprire ai lavoratori il capitale delle aziende pubbliche, accelerando il processo di transizione verso forme di proprietà mista dei gruppi. Secondo quanto riporta il China Securities Journal, l’amministrazione della capitale cinese che presiede alla gestione delle imprese di Stato ha già stilato una lista delle società nelle quali sarà sperimentata la riorganizzazione. Lo schema ricalca le recenti direttive centrali: i lavoratori potranno detenere fino al 30% del capitale dell’azienda, mentre ciascun singolo dipendente non potrà acquisirne più dell’1%.
La riforma del settore procede a piccoli passi. Per il governo il 2017 sarà l’anno della svolta, o almeno questo è il messaggio lanciato lo scorso 23 dicembre dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme. Forme di proprietà mista saranno sperimentate nei comparti dell’energia, delle ferrovie, dell’aviazione civile, delle telecomunicazioni e addirittura dell’industria militare, scrive l’agenzia Xinhua. Alcuni campioni dell’industria pubblica si sono già mossi per favorire la transizione. È il caso della China National Petroleum Corporation che la scorsa settimana ha approvato le linee guida di apertura alla proprietà mista.
L’apertura del capitale, nelle dichiarazioni del governo, dovrebbe contribuire a migliorare l’efficienza dei gruppi, facendo sì che lo Stato sia azionista di controllo, ma lasci quanto più possibile in capo al management la gestione aziendale. Un passaggio non scontato, perché i processi di ristrutturazione andranno a toccare interessi politici costituiti, sebbene fiaccati dalla campagna anticorruzione lanciata ormai quattro anni fa dal presidente Xi Jinping, e lo potrebbero fare in concomitanza con il Congresso del Partito comunista previsto per la seconda metà dell’anno.
I legislatori sono consci del rischi, in particolare dell’ipotesi che i manager sfruttino la propria posizione per aumentare il proprio peso in azienda a scapito del pubblico, sottolinea Caixin. I paletti posti lo scorso agosto servono proprio a bloccare sul nascere tale eventualità. Lo Stato o le amministrazioni pubbliche non potranno infatti scendere sotto il 34% del capitale. Inoltre per le azioni in mano ai dipendenti varrà un periodo di lock-up di 36 mesi. Alla fine di questo periodo, top manager e componenti del board avranno comunque un limite annuale alle azioni che potranno vendere. La velocità con cui procederà la riforma dovrebbe comunque variare da settore a settore e a seconda dell’importanza strategica dell’azienda.
La transizione, emerge da un’analisi di Moody’s, migliorerà il profilo di credito dei grandi gruppi, leader nel proprio comparto. Per contro, accelererà il fallimento delle società più deboli. Intanto i dati degli 11 mesi dell’anno registrano per le società pubbliche un aumento del fatturato e degli utili rispettivamente del 2,4 e del 2.8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
(Pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)