“È bello essere tornato, e sono grato di servire al vostro fianco come Segretario alla Difesa”. Con queste parole James N. Mattis ha aperto i quattro anni del proprio mandato alla guida del Pentagono. Il generale quattro stelle in pensione del Corpo dei Marines, scelto da Donald Trump per dirigere il complesso sistema della Difesa statunitense, è arrivato al Pentagono sabato, accolto da Joseph Dunford, capo di Stato maggiore congiunto, generale dei Marine che ha servito in Iraq proprio sotto Mattis. “Insieme con la comunità d’intelligence, siamo le sentinelle e i custodi della nostra nazione”, ha detto il 26esimo segretario alla Difesa degli Stati Uniti. “Ogni nostra azione sarà progettata per garantire che i nostri militari siano pronti a combattere oggi e in futuro”, ha aggiunto.
L’AUTORIZZAZIONE DEL SENATO
Mad dog Mattis ha assunto l’incarico venerdì, prestando giuramento solo dopo la conferma da parte del Senato, arrivata anch’essa nella serata di venerdì senza particolari problemi, con un’ampia maggioranza e insieme a quella per John Kelly, scelto da Trump per guidare il Department of Homeland Security, il super ministero dell’interno creato dopo l’11 settembre. Per entrambi, l’autorizzazione da parte del Congresso era necessaria in virtù del National Security Act del 1947 che, a garanzia del controllo civile delle Forze armate, stabilisce che debbano essere trascorsi almeno sette anni tra il servizio attivo e la nomina. Mattis ha lasciato la carriera militare nel 2013, dopo aver guidato per tre anni l’Us Central Command (CentCom), con responsabilità militare per la protezione degli interessi americani in circa venti Paesi dal Corno d’Africa all’Asia centrale, l’area più delicata della posture internazionale statunitense negli ultimi vent’anni. Prima di Mattis, solo il generale George C. Marshall, nel 1950, aveva avuto bisogno dell’autorizzazione da parte del Congresso. Con 98 voti a favore e il solo voto contrario della senatrice democratica di New York Kirsten Gillibrand, Mattis ha ottenuto dal Senato un’autorizzazione che appariva ormai scontata in virtù dell’ampio consenso che il generale ha ottenuto anche tra i membri del partito democratico.
LE IDEE
A dispetto dei soprannomi che Mattis si è guadagnato sui campi di battaglia (mad dog e warrior monk sono entrambi legati alla presa di Falluja, nel 2004, in quella che viene ricordata come la battaglia più dura e sanguinosa della guerra in Iraq), la nomina da parte di Trump era apparsa da subito rassicurante sia per gli alleati, sia per i membri del partito Repubblicano più scettici sulla politica di Difesa promessa dal magnate. L’equilibrio con cui Mattis si è presentato ha progressivamente eroso anche le perplessità di molti democratici. L’intervento di fronte alla Commissione delle Forze armate del Senato, che il generale ha tenuto un paio di settimane fa proprio per la conferma, ha ulteriormente manifestato la lontananza di Mattis rispetto ad alcune delle posizioni più radicali del nuovo presidente.
Convinto dell’utilità e della bontà della Nato, all’interno della quale ha guidato il Comando alleato per la trasformazione (Sact), e sostenitore di una maggiore presenza militare in Medio Oriente, Mattis non sembra per nulla persuaso dalle promesse relative all’Alleanza atlantica e al generale ritiro militare degli Stati Uniti che Trump ha fatto durante la campagna elettorale. Anche sul trattato nucleare iraniano, per il quale aveva lasciato la guida del CentCom in disaccordo con l’amministrazione Obama, Mattis sembra bilanciare i falchi del gabinetto Trump, su tutti Flynn (consigliere per la sicurezza nazionale) e Pompeo (direttore Cia). Pur riconoscendo che l’Iran deal resta “un accordo imperfetto”, il generale ha assicurato: “Quando l’America dà la sua parola dobbiamo rispettarla e lavorare con i nostri alleati”.
IL MESSAGGIO AL DIPARTIMENTO
E al sistema di cooperazione e collaborazione internazionale, Mattis si è riferito anche all’interno del primo messaggio al Dipartimento alla Difesa (DoD). “Riconoscendo che nessuna nazione è sicura senza amici, lavoreremo con il Dipartimento di Stato per rafforzare le nostre alleanze”. Non un falco dunque, ma un militare esperto, considerato un’intellettuale della difesa, avvezzo alla logica cooperativa e non troppo allineato sulle posizioni del presidente. “Rappresentate un’America impegnata per il bene comune; un’America che non è mai compiaciuta della difesa delle proprie libertà; e un’America che rimane un faro costante di speranza per tutta l’umanità”, ha detto Mattis riferendosi ai dipendenti e funzionari del DoD. “Siamo impegnati a ottenere il pieno valore da tutti i dolliri spesi per la difesa dai contribuenti, in modo da guadagnare la fiducia del Congresso e del popolo americano”, ha assicurato il generale.
I TEMI CALDI
Classe 1950, originario della città di Pullman, nello Stato di Washington, James N. Mattis si è arruolato all’età di 19 anni, servendo in tutti i maggiori teatri di guerra in cui gli Stati Uniti sono intervenuti dagli anni ’90. La sua nomina era stata accolta con apprezzamento anche dal segretario alla Difesa uscente Ash Carter, che aveva detto: “Conosco il generale da molti anni e lo tengo nella più alta considerazione. Continuerò a fare tutto il possibile per contribuire a garantire una transizione senza soluzione di continuità”. Contrasto al terrorismo, strategia chiara in Europa orientale e risposta all’assertività cinese in Asia e Pacifico, sono questi i dossier che scottano sul tavolo del nuovo Segretario alla Difesa degli Stati Uniti.
(Foto: Wikicommons, James Mattis a fianco a un Marine ferito in Iraq)