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Non solo Ford. Tutte le imprese a rischio in Messico per l’effetto Trump

Ford ha deciso di fare i bagagli e andare via dal Messico. Il secondo fabbricante di macchine di Detroit ha annunciato la cancellazione di un progetto di investimento di 1,6 miliardi di dollari a San Luis Potosí. Lo stanziamento di 700 milioni di dollari sarà destinato, invece, alla produzione di auto elettriche in Michigan. Poche ore dopo la diffusione della notizia, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto di avere il merito del dietro front di Ford (qui l’approfondimento di Emanuele Rossi pubblicato su Formiche.net).

Con la chiusura del complesso di Ford a San Luis Potosí rimarranno senza lavoro 2800 persone entro il 2020. Lì dovevano prodursi alcune parti del Ford Fiesta, Ford C-Max e Ford Focus.

LA POLITICA ANTI-MESSICO DI TRUMP

Questo è il primo effetto delle pressioni di Trump sull’economia messicana. Assieme al settore manifatturiero, la produzione di automobili in Messico si sostiene dallo scambio commerciale con gli Stati Uniti. Circa l’80 per cento delle esportazioni di auto, oltre la metà degli investimenti stranieri nel settore, provengono dal vicino del nord. La fabbrica di veicoli è uno dei motori dell’economia messicana.

Per Gabriela Siller, direttore di analisi del gruppo finanziario Banca Base, “la decisione di Ford conferma il rischio di una caduta degli investimenti diretti in Messico dal 2017 e aumenta le probabilità di una svalutazione della moneta, ad un massimo storico in breve periodo”. Pochi minuti dopo l’annuncio di Ford, il dollaro è arrivato al picco di 20,9 pesos.

THE BIG THREE

Il Messico è il quarto esportatore mondiale a livello mondiale di macchine. Le “Big Three” (General Motors, Chrysler e Ford) hanno una forte presenza nel territorio messicano e danno lavoro (direttamente e indirettamente) a circa 1.100.000 di messicani. Secondo la Segreteria Economica, l’industria automotrice sostiene il 3,2 per cento del Prodotto Interno Lordo del Paese e il 18,3 per centro del Prodotto Interno Lordo Manifatturiero. Circa 730mila lavoratori diretti e 370mila lavoratori indiretti dipendono dalle fabbriche di macchine, da quando si legge sull’Istituto Nazionale di Statistiche e Geografia del Messico (Inegi).

GENERAL MOTORS, CHRYSLER E FORD

Trump ha inoltre minacciato un altro colosso, General Motors, paventando un aumento delle tasse per vendere sul mercato americano modelli fabbricati in Messico.

In Messico, dieci complessi di montaggio di macchine delle 32 presenti in tutto il territorio nazionale appartengono alla General Motors (4), Chrysler (3) y Ford (3). General Motors è il secondo leader di vendite dopo la giapponese Nissan e ha il 18 per cento del mercato nazionale (una quinta parte). Gli altri sono della Nissan (14), Honda (2), Mazda (1), Kia (1), Toyota (2) e Volkswagen (2).

Tutti sono a rischio con l’effetto Trump perché la maggior parte delle esportazioni sono dirette agli Stati Uniti. Secondo il Centro di Studi delle Finanze Pubbliche (CEFP), il principale destinatario delle macchine fabbricate in Messico sono gli Stati Uniti (71,7 per cento della produzione). Da gennaio a settembre del 2016 sono stati esportate automobili per un valore di 83 miliardi di dollari.

LA FINE DEL TRATTATO DI LIBERO COMMERCIO

Per l’analista messicano César Roy Ocotla, specialista del settore auto, “gli investimenti sono arrivati in Messico grazie al North American Free Trade Agreement (Accordo nordamericano per il libero scambio) e perché le imprese americane guadagnano di più in Messico perché costa meno trasportare le macchine. Il costo di produzione di un’auto è più basso perché la manodopera è economica: 1,5 dollari l’ora mentre negli Usa è 17 dollari l’ora. Risparmiano molti soldi. Se Trump decide che le macchine devono essere fabbricate negli Stati Uniti e che da lì vengano esportate, il valore di una macchina aumenterà in quella proporzione e ridurrà la competitività. Il settore sarà molto colpito”.

DANNI ALLE IMPRESE

Altre imprese potrebbero avere delle conseguenze negative dalla rinegoziazione o uscita dagli Usa dall’Accordo nordamericano per il libero scambio. Secondo l’agenzia Fitch Ratings, la scelta avrà un impatto negativo su Cemex, América Móvil, Fibra Terrafina, Mabe, Fibra Uno, Axtel, Famsa, Grupo Televisa, Office Depot, Servicios Corporativos Javer e TV Azteca.

LE CONSEGUENZE PER GLI USA

Ma le conseguenze svantaggiose non arriveranno soltanto per il Messico. L’impatto negativo colpirà anche gli Usa. Secondo il direttore del Wilson CenterDuncan Wood, circa cinque milioni di posti di lavori negli Stati Uniti dipendono dai rapporti con il Messico. Dal flusso tra i due Paesi ci sono 2,51 miliardi di dollari.

EFFETTI SUGLI STATI AMERICANI

Un rapporto del Wilson Center indica i 10 stati americani con più impiegati dipendenti dai rapporti commerciali Usa-Messico: California (13,9 per cento del Pil), Texas (8,7 per cento del Pil ), New York (8,1 per cento del Pil), Florida (5,0per cento del Pil), Illinois (4,3 per cento del Pil), Pennsylvania (3,9 per cento del Pil), Ohio (3,4 per cento del Pil), New Jersey (3,2 per cento del Pil), Georgia (2,8 per cento del Pil) e Carolina del nord (2,8 per cento del Pil).

PER IL MESSICO LA CINA NON È VICINA

Nonostante la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, il colosso asiatico non cercherà di conquistare il territorio messicano con nuovi investimenti. Almeno non mentre Enrique Peña Nieto sarà al governo. La Cina è rimasta molto scontenta quando nel 2014 il governo messicano cancellò il progetto per la costruzione di un treno di alta velocità ad un consorzio guidato dalla China Railway Construction. Il treno doveva collegare Città del Messico con Querétaro e l’investimento sarebbe stato di circa 3,7 miliardi di dollari. Stessa fine ha fatto il progetto immobiliare di Dragon Mart a Cancún, Quintana Roo. La causa per danni è in tribunale.

LA SOLITUDINE DELL’INDUSTRIA MESSICANA

L’economista Jonathan Heath pensa che il Messico soffrirà una grave recessione la prima metà del 2017, come conseguenza dell’incertezza provocata dalla presidenza di Trump e dai conflitti interni del Paese. L’annuncio dell’aumento del prezzo della benzina (il “gasolinazo”) ha provocato molte proteste e la richiesta di diversi settori della società civile della rinuncia del presidente Peña Nieto. “Le esportazioni non petrolifere sono state il motore della crescita messicana. Se tolgono queste si fermerà un altro motore – ha spiegato Heath -. L’economia interna messicano non può funzionare da sola”.

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