È durata l’alba di un mattino l’idea di istituire una giuria popolare a guardia delle notizie pubblicate dai media italiani. Danilo Toninelli, dagli studi di Omnibus, si è affrettato a bollarla come una boutade dell’ex comico genovese. Una provocazione in risposta alla proposta del Presidente dell’Autorità Antitrust Giovanni Pitruzzella che avanzava l’ipotesi di istituire un “organismo terzo capace di intervenire rapidamente nel caso l’interesse pubblico venga danneggiato” dalle false notizie diffuse in rete.
COSA SIGNIFICA LA MARCIA INDIETRO DI TONINELLI
A scatenare quel post provocatorio, però, non sarebbe stata solo l’uscita dell’Antitrust. “Quella di Grillo è stata una reazione furibonda per la prima pagina de “Il Giornale” che raccontava di un pranzo tra Davide Casaleggio, uno dei leader del Movimento Cinque Stelle, e Andrea Cardamone, amministratore delegato di Widiba, banca online di MPS. È questo che ha fatto scattare la molla, indicativa di un certo disprezzo nei confronti dei media. Basti pensare che nel post incriminato, sconfessato da Toninelli, Grillo chiede che i giornalisti ritenuti colpevoli di aver detto il falso “ammettano” i propri errori, mi sembra la spia di un atteggiamento religioso, da setta.
L’OPINIONE DI MAURO SUTTORA E FEDERICO MELLO
La marcia indietro di Toninelli è dimostrazione di un certo caos all’interno del Movimento, animato da spinte differenti” – dice a Formiche.net Mauro Suttora, giornalista e scrittore che ha seguito da vicino lo sviluppo del M5S sin dalle sue origini. Il M5S ha sempre avuto un rapporto molto difficile con la stampa italiana, dall’anatema sulla tv alle interviste concordate, i media non sono mai stati riconosciuti come parte del sistema democratico. “Pensiamo ai primi tre referendum del M5S, per l’abolizione dei finanziamenti pubblici, per l’abrogazione della legge Gasparri e per la cancellazione dell’ordine dei giornalisti” – prosegue Suttora – “O pensiamo alla classifica sulla libertà d’informazione redatta da Reporter Sans Frontieres che i grillini spesso citano. Posto che non la ritengo particolarmente attendibile, quella classifica viene compilata a partire da dati forniti dall’associazione “Ossigeno” che registra le denunce di minacce alla libertà di stampa presentate dai giornalisti. Molte attengono a querele e cause civili temerarie di politici a danno dei giornalisti. Ecco secondo i dati del 2016 buona parte di delle minacce di querele per diffamazione arrivano proprio dai grillini, che diventano così corresponsabili di quel 77esimo posto. Questo è in linea con quello che Casaleggio pensava dei giornalisti ritenuti intermediazione parassitaria mentre teorizzava il ‘fai da te’ attraverso la rete capace, secondo il M5S, di fornire informazione libera e gratuita”. La giuria popolare, sebbene subito sconfessata, sarebbe dunque un prodotto scontato dell’ideologia dell’uno vale uno. “Grazie ai mezzi di informazione tecnologici che abbiamo a disposizione oggi tutti possiamo informarci e partecipare ad un dibattito. Quello che manca è la consapevolezza che forse non tutti siamo in grado di farlo” – dice a Formiche.net Federico Mello, giornalista e autore del libro “Le confessioni di un nerd romantico” – “Forse è arrivato il momento di ragionare sulla necessità di costituire elités intellettuali in grado di fornire interpretazioni della realtà. È necessario che la formazione delle classi dirigenti avvenga in maniera trasparente ma non credo che l’idea che tutti possiamo fare tutti possa portare lontano. Pensa ad esempio al delicato argomento della trattativa Stato – mafia. Quante persone competenti in materia ci potranno mai essere in Italia? Poche, solo quelle che hanno letto tutte le carte e studiato il periodo storico. Quella che non è più un’ipotesi ma una certezza è che questo modo di fare ha spalancato le porte ai populismi, Trump oggi è arrivato alla Casa Bianca, cosa c’è di più?”.
LE CRITICHE DEL “FATTO” ALLA GIURIA POPOLARE
A tuonare contro la giuria popolare anche c’è Marco Travaglio, direttore del “Fatto Quodiano“, uno dei pochi giornali non invisi dal M5S. “Il problema da cui parte Beppe Grillo è reale, le bugie più grosse sono quelle che diffondono tv e giornali, ma la soluzione che propone è ingenua e non ha nessuna possibilità di funzionare” – dice Travaglio all’Ansa – “La sua idea è balzana ma non c’entra nulla con l’olio di ricino. Molto più pericoloso è quello che dice il presidente Antitrust Giovanni Pitruzzella, cioè che il potere pubblico debba intervenire per bloccare le presunte bugie sul web. Pericolosa è la risoluzione del parlamento europeo, che lo impegna a contrastare la propaganda contro l’Ue”. Ancora più netto è Antonio Padellaro, Presidente del Fatto Quotidiano, che proprio dalle colonne del suo giornale bolla come demenziale l’dea della giuria popolare. “Non sfugge certo la concomitanza con le critiche che dai militanti duri e puri sono piovute sulla svolta “garantista”, ma pensare di compensarle con la creazione di un demenziale tribunale del popolo sembra dimostrare come lo stesso artefice del movimento che ha rivoluzionato il panorama politico italiano debba meglio interrogarsi sul concetto di democrazia” – scrive Padellaro – “Perché oltre che i giudizi di alcune migliaia di militanti, Grillo oggi dovrebbe meglio soppesare le opinioni degli otto-nove milioni di cittadini che dal 2013 in poi stanno dando fiducia al M5S e ai suoi propositi di rinnovamento, pur non facendone parte. Si ponga qualche domanda. […] Davvero questa parte della nazione non è in grado di distinguere tra informazione corretta e informazione taroccata e sente impellente la necessità di un Minculpop a cinque stelle?”.