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Banca Marche, Banca Etruria, Carichieti. Ecco cosa farà l’acquirente Ubi

bpm, ubi Victor Massiah

Ubi Banca ha presentato al Fondo di risoluzione gestito da Banca d’Italia l’offerta vincolante per tre good bank (Marche, Etruria, Chieti). Ora la proposta d’acquisto dovrà ricevere l’ok del direttorio di Via Nazionale (martedì) e poi di Bce e Commissione Ue. Se non ci saranno nuovi (inattesi) stop, Ubi realizzerà un’operazione di mercato e non un salvataggio: una distinzione che il ceo Victor Massiah (nella foto) ha ribadito anche con numeri alla mano.

I DETTAGLI DELL’ACQUISTO

Ubi acquisterà le tre banche al prezzo simbolico di un euro. L’istituto si è impegnato a un aumento di capitale da 400 milioni per mantenere un capitale Cet1 di oltre l’11% e colmare il fabbisogno temporaneo legato alla non piena computabilità del badwill. A fronte di questo sforzo, la banca ha ottenuto numerose protezioni dai rischi, un aumento dei clienti e della quota di mercato (che passa da 5 a 6% in Italia) e una prospettiva di ritorno dell’investimento del 25% nel 2020 (quando le tre banche avranno nelle previsioni un utile di 100 milioni). Il costo della risoluzione sarà in gran parte pagato dal settore, che ha complessivamente versato contributi per oltre 4,5 miliardi (in attesa di vedere come si concluderà la vicenda Carife e quali saranno i proventi della bad bank Rev).

COSA FARA’ UBI

Per comprare le tre banche, Ubi ha chiesto l’aumento dei tassi di copertura (almeno il 28,28% delle inadempienze probabili e il 60% delle sofferenze); il versamento di oneri di ristrutturazione per 130 milioni e di altri accantonamenti per 200 milioni; un indice di liquidità a breve di oltre il 100%; un Cet1 ratio di oltre il 9,1%; un aumento di capitale a carico del Fondo di risoluzione di 450 milioni; la cessione di crediti deteriorati per 2,2 miliardi nominali ad Atlante (che potrebbe investire 100-200 milioni a seconda della cartolarizzazione e della tranche junior o mezzanine acquistata).

COME CAMBIERA’ IL CAPITALE

Per effetto del progressivo rilascio a conto economico del badwill, della redditività prevista delle tre banche, dell’utilizzo degli asset fiscali (600 milioni) e della attesa estensione dei modelli interni, il capitale Cet1 «risulterà dal 2019 superiore ai target del piano industriale, attestandosi al 2020 al 13,5% rispetto al 12,8% previsto. Tale livello implica una generazione di Cet1 superiore all’aumento di capitale», ha precisato Ubi. L’istituto consoliderà così la quinta posizione per attivi tra le banche italiane e manterrà un capitale elevato che teoricamente non la metterà fuori dai giochi per nuove acquisizioni.

I PROSSIMI PASSI

Dopo la riunione di Bankitalia di martedì prossimo (l’offerta di Ubi è valida fino al giorno successivo), sarà necessario l’ok della Bce che ha già dato un via libera informale ai punti salienti del piano, da analizzare ora nei dettagli. Francoforte ha 90 giorni per esprimersi. Perciò non è detto che il closing arrivi in tempo per fissare l’assemblea straordinaria di Ubi assieme a quella di aprile sull’approvazione del bilancio. Anche la Commissione Ue dovrebbe essere propensa a dare l’ok, dopo aver verificato nei giorni scorsi che nessun fondo volesse rilanciare l’offerta della banca. Ubi (assistita da Pedersoli Studio Legale, Credit Suisse e Morgan Stanley) è entrata nella partita good bank dopo le prime offerte dei fondi Apollo e Lone Star e del gruppo Barents, respinte dal Fondo di risoluzione. In seguito sono partite le discussioni con la banca e dopo settimane di lavoro si è trovata la quadra. Massiah ha assicurato ieri che non ci saranno modifiche sui dividendi: «Manterremo lo stesso livello dello scorso anno».

LO SCENARIO

La vendita delle good banks chiuderà una fase storica per il settore, ovvero le prime risoluzioni in Italia secondo le nuove regole europee. Il bilancio non è stato positivo: l’onere del salvataggio sarebbe stato inferiore con l’intervento preventivo del Fondo interbancario, considerato però aiuto di Stato dall’Ue, nonostante sia alimentato con i contributi delle banche. Ma anche dopo la risoluzione del novembre 2015 (realizzata per evitare il bail-in in partenza nel 2016) il percorso è stato pieno di ostacoli, a causa di alcuni fattori come la difficile situazione dei bilanci dopo anni di amministrazione straordinaria, gli alti cost/income, i tempi di vendita stringenti imposti da Bruxelles, l’incertezza sulle proroghe e sulle procedure. Non sempre Commissione e Bce hanno lavorato in modo integrato e spesso hanno pensato più alla forma che alla sostanza. Si è arrivati alla fine a una soluzione che toglie tre banche dalla lista degli istituti in difficoltà, ma che è stata pagata a caro prezzo dal settore.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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