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I messaggi indiretti di Barack Obama a Donald Trump

Sicuramente Barack Obama sarà ricordato a lungo per i suoi superbi discorsi che ricordano quelli di Abraham Lincoln. Il suo discorso di addio dell’altra sera è stato una risposta equilibrata e meditata (che ha ripercorso un territorio familiare, riproponendo concetti espressi altre volte in altri discorsi precedenti) alle questioni più pressanti che l’America ha di fronte.

Nel suo discorso Obama ha parlato dei risultati ottenuti nel corso dei suoi due mandati («Se otto anni fa vi avessi detto che l’America avrebbe invertito la grande recessione, rilanciato la nostra industria automobilistica e innescato il più lungo periodo di creazione di posti di lavoro della nostra storia … se vi avessi detto che avremmo aperto un nuovo capitolo con il popolo cubano, fermato il programma di nucleare iraniano senza sparare un colpo, eliminato il regista dell’11 settembre … se vi avessi detto che avremmo ottenuto il matrimonio egualitario e assicurato il diritto alle cure sanitarie per altri 20 milioni di nostri concittadini … se vi avessi detto tutto questo, avreste potuto pensare che avevamo messo l’asticella troppo in alto. Ma questo è quel che abbiamo fatto. Questo è quel che voi avete fatto. Avete risposto alle speranze delle persone e, grazie a voi, da quasi ogni punto di vista oggi l’America è migliore e più forte di quando abbiamo cominciato»), ma si è dedicato soprattuto ad un tema, lo stato della democrazia americana, parlando del perché va preservata ed elencando i pericoli che la minacciano.

Per far funzionare come si deve la nostra democrazia, in una nazione sempre più differente, ha suggerito Obama, ciascuno di noi dovrebbe ascoltare il consiglio di un grande personaggio della letteratura americana, Atticus Finch, che ha detto: «Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista, se non cerchi di metterti nei suoi panni e ci vai a spasso». Atticus Finch è l’avvocato ed il padre affettuoso che nel libro di Harper Lee, «Il buio oltre la siepe» (To Kill a Mockingbird), ambientato nel Sud del 1930, difende un nero accusato ingiustamente di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca. Un simbolo di rettitudine e tolleranza, che gli americani hanno idolatrato per decenni, chiamando con il suo nome i loro figli, i bar e i caffè e perfino un’azienda produttrice di t-shirt.

Obama ha inserito la citazione nella parte del discorso che ha dedicato alla minaccia per la democrazia («vecchia quanto la nostra nazione») derivante dalle tensioni razziali. Molte delle sue osservazioni erano ovviamente rivolte alla maggioranza bianca che ha eletto Donald Trump («se ogni problema economico è formulato come uno scontro tra una classe media bianca e laboriosa e un’immeritevole minoranza, allora i lavoratori di tutti i colori saranno lasciati a litigarsi le briciole mentre i ricchi acquisteranno ricchezza maggiore per se stessi» e ancora «quando le minoranze esprimono il loro malcontento non stanno esercitando razzismo inverso, o facendo del politically correct … non chiedono un trattamento speciale, ma parità di trattamento»), ma ha chiesto anche agli americani che sono stati discriminati di mostrare un po’ di empatia nei confronti di alcuni dei loro rivali. «Per i neri e le altre minoranze, ciò significa legare le nostre lotte molto concrete per la giustizia alle sfide che affronta tanta gente in questo paese», ha detto Obama. «Non solo il rifugiato, o l’immigrato, il contadino povero o il transgender americano, ma anche il bianco di mezza età, il quale dall’esterno può sembrare avere tutti i vantaggi, ma che ha visto il proprio mondo stravolto dai cambiamenti economici, culturali e tecnologici».

Il monito è di quel genere che ha spesso frustrato i critici «di sinistra» di Obama, che sostengono sia stato troppo equanime, troppo disponibile a effettuare false equivalenze, per sfidare davvero il razzismo americano. Ma Obama, nella sua città adottiva, ha rilanciato:«sono vissuto abbastanza per sapere che le relazioni tra le razze oggi sono migliori di quanto fossero dieci, venti o trent’anni fa, non importa quel che si dice». Ed ha aggiunto: «per far sì che l’America superi i pregiudizi di gente che mastica amaro, quelle persone hanno bisogno di essere comprese». Il riferimento letterario gli è servito a respingere le critiche di quanti, specie «a sinistra», hanno letto il suo concentrarsi sull’incrementalismo e sul cambiamento individuale come una capitolazione. Ma non è la prima volta che Obama sostiene che l’empatia, la nostra capacità di porci nella situazione di un’altra persona, importa anche di fronte ad un sistema ingiusto.

Le parole di Obama sarebbero state certamente di conforto a Scout (la figlia di Atticus Finch, la protagonista del libro) come lo sono state per suoi sostenitori radunati l’altra sera a Chicago: «Il lavoro della democrazia è sempre stato duro, controverso e a volte sanguinoso. Per ogni due passi in avanti, spesso ci sembra di averne fatto uno indietro. Ma il lungo corso dell’America è stato definito dal movimento in avanti, dal costante allargamento del credo dei nostri Padri fondatori perché abbracciasse tutti e non solo alcuni». Obama non stava negando la situazione preoccupante del paese. Ma si stava rivolgendo all’America affinché faccia riemergere la versione migliore di se stessa. La cosa ci riguarda da vicino, anche da questa parte dell’Atlantico. Obama non è stato perfetto, nessuno lo è, e non lo è mai stato nessun presidente. Ma lo ricorderemo, e ci mancherà, quando, tra qualche giorno, il turbine di scandali, conflitti, volgarità, maleducazione e desiderio di rivalsa di Donald Trump si precipiterà a Washington.


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