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Le quote rosa della jihad dello Stato Islamico

Maria Giulia “Fatima” Sergio, la prima foreign fighter italiana (“maestra della jihad”, secondo i pm della procura di Milano, Maurizio Romanelli e Paola Pirotta) condannata a nove anni di reclusione per terrorismo, è un esempio del fenomeno di inclusione della donna nella guerra dell’estremismo islamico.

Anche a Parigi, nelle vicinanze della cattedrale di Notre Dame, sono state arrestate mesi fa tre donne che cercavano di compiere un attentato. Il commando femminile, secondo le autorità, riceveva indicazioni dirette dal vertice dell’Isis in Siria.

IL RUOLO DELLA DONNA NELL’ISLAM

Ma il ruolo delle donne nella società musulmana è sempre stato molto marginale, soprattutto tra gli estremisti islamici. In una serie intitolata “Qisas al muyahidin (Storie dei guerrieri santi)”, lo Stato islamico pubblicò la biografia dei personaggi principali che hanno fondato il Califfato. E nella lista non ci sono donne.

Secondo il Corano, le donne musulmane devono restare a casa e occuparsi esclusivamente della famiglia. I più radicali vietano altri ruoli diversi da quello di essere  madri e casalinghe (qui l’articolo di Formiche.net su cosa dice il Corano di donne, divorzio e violenza domestica). Nonostante ciò, ci sono tre situazioni che potrebbero richiedere un ruolo attivo della donna: per svolgere studi religiosi, per lavorare come medici o insegnanti – solo se è necessario – e se sono chiamate a fare parte della difesa della jihad.

LA SVOLTA DELLO STATO ISLAMICO

Al Qaeda in Irak (AQI) cominciò a coinvolgere donne tra il 2003 e il 2009 per gli attentati suicida. Per Hashem al Hashimi, analista e consigliere del governo iracheno, “Abu Musab al Zarqaui (leader di Al Qaeda in Irak, legato a Isis), ha cambiato il ruolo della donna. Ha chiesto di fare un’eccezione perché possano essere utilizzate come kamikaze […], ma la prerogativa è stata promossa anche dal leader di Isis, Abu Bakr al Bagdadi, che ha permesso la creazione di truppe di donne come Al Jamsa”.

DALLA PROPAGANDA ALLE ARMI

Il primo spazio occupato dalle donne di Isis è stato nella macchina propagandistica. Secondo uno studio realizzato da Neil Johnson, professore dell’Università di Miami, pubblicato alla rivista Science, le donne hanno un ruolo chiave nella strategia di arruolamento e proselitismo dell’organizzazione terroristica. Lo studioso è arrivato a questa conclusione dopo l’analisi di molte informazioni postate sui social network e l’intercettazione di telefonate dell’intelligence.

LA BRIGATA AL-KHANSAA

Ora però le donne del Califfato hanno dovuto prendere parte nell’offensiva militare. La Brigata Al-Khansaa, invece, è una specie di polizia femminile dell’Isis. La sua missione è fare rispettare le rigide regole morali per le donne. Hanno un manifesto, intitolato Le donne nello Stato Islamico: manifesto e studio del caso: “Il ruolo fondamentale della donna, quello donato dalla natura e la bontà divina, non è altro che la maternità, che deve svolgersi nel seno famigliare. Il testo indica che la donna raggiunge il massimo della maturità a 15 anni, da quel momento può diventare madre e moglie di futuri martiri della jihad”.

LA TRUPPE AL JAMSA

Al Jamsa è un gruppo femminile che perseguita e punisce chi, secondo loro, “sfida la rigida morale del movimento islamico”. Il gruppo ha spiegato che le donne, date le condizioni attuali, possono abbandonare il nucleo familiare per partecipare alla jihad se i nemici attaccano il Paese e gli uomini non sono sufficienti per difenderlo. Basta la pubblicazione di una fatwa (sentenza religiosa) che lo autorizzi”. Il numero di combattenti uccisi a Mosul è una di quelle circostanze di eccezione. A Raqqa c’è un insediamento composto soltanto da donne che si addestrano su come usare le armi e come attaccare. Si calcola che le combattenti donne legate all’Isis siano tra 1500 e 2000. Anche molte occidentali convertite all’Islam, tra cui l’italiana Maria Giulia “Fatima” Sergio, che si presume stia combattendo in Siria per la difesa degli ideali dell’Isis.

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