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Riunificazione in vista per Cipro?

Mustafa Akıncı (nella foto), presidente della (non riconosciuta) repubblica turca di Cipro del Nord, è fra i 28 personaggi da tenere d’occhio nel 2017, secondo il listone cucinato alla vigilia delle feste da Politico Europe.

E, insieme a lui, anche Cipro, l’isola del Mediterraneo che ha dato i natali ad Afrodite (e continua a darli a risorse naturali d’interesse geostrategico), potrebbe finalmente trovarsi protagonista di un’insperata riunificazione.

Mai come oggi il Paese – che dal 2004 è membro dell’Unione europea, Ue – è stato così vicino alla ricomposizione della sua divisione interna iniziata, oltre 40 anni fa, con l’invasione del nord da parte delle truppe turche.

Lo ripetono in tanti, fra Nicosia e Lefkosa, nella capitale dai due nomi solcata dal filo spinato dal 1974. Ma a dimostrarsi ottimisti sono anche gli interlocutori che nei giorni scorsi hanno aggiornato sul punto il neosegretario generale dell’Onu António Guterres, alla vigilia del nuovo round di negoziati che – dopo la prima, speranzosa fase di metà novembre – si terrà anch’esso sotto l’egida della Nazioni Unite a Ginevra fra il 9 e l’11 gennaio, preceduto da una serie di febbrili scambi fra tutti gli attori coinvolti.

Da due il tavolo s’allargherà a cinque. Giovedì prossimo anche Turchia, Grecia e Regno Unito – i tre Paesi garanti della sicurezza sull’isola secondo i Trattati conclusi per sancire l’indipendenza da Londra, fra 1959 e 1960 – si uniranno alle trattative.

MUSTAFA E NIKOS
Doveva essere la strenna sotto l’albero del 2016, potrebbe rivelarsi una delle pagine più liete di un 2017 piuttosto preoccupante. La storia dell’ultimo tentativo di riunificazione di Cipro è anche un incontro di due uomini, due personalità chiave nelle rispettive comunità: Akıncı e l’omologo che è dal 2013 a capo del sud greco (l’unica entità statale cipriota riconosciuta dalla comunità internazionale), Nikos Anastasiades.

Dopo il faticoso risultato (anche lì, due volte) negoziato dal presidente venezuelano Josè Manuel Santos con i rivoluzionari delle Farc, il 2017 potrebbe già schierare due forti candidature al Nobel per la Pace.

Già da sindaco di Lefkosa, Akıncı aveva lavorato per tentare di appianare le separazioni lungo la linea verde (il tratto demilitarizzato che spezza in due l’isola da est a a ovest), prima di fare della rivitalizzazione delle trattative con i greci del sud la piattaforma politica della sua elezione alla presidenza del nord nel 2014.

Uno sforzo condiviso con il quasi coetaneo Anastasiades: entrambi cresciuti sul litorale di Limassol quando Cipro era ancora un Paese unito e multietnico, nel 2004 i due uomini politici sostennero il tentativo di riunificazione condotto dall’allora segretario generale Onu Kofi Annan (e poi naufragato nelle urne del sud); oggi si considerano alla testa di quello che è l’ultimo tentativo concesso alla loro generazione.

Per preparare il sentiero verso il primo tempo negoziale, i due leader si sono incontrati pressoché settimanalmente per affrontare i dossier più controversi, quelli che hanno poi condotto a un nulla di fatto un mese e mezzo fa.

FRA ERDOGAN E TSIPRAS
Dopo un tour a Bruxelles fra Ue e Nato, e poco prima del ritorno a Ginevra per la ripresa del negoziato bilaterale con Anastasiades, Akıncı ha fatto visita ad Ankara al leader turco Recep Tayyip Erdogan, il cui ministro degli Esteri ha detto di non essere stato mai così ottimista rispetto alla risoluzione della questione cipriota.

La Turchia stessa è impegnata in un negoziato parallelo con la Grecia di Alexis Tsipras (che considera questa del 2017 l’ultima chance per una seria riunificazione), e i due leader di Ankara e Atene hanno provato a coordinare le loro (influenti) posizioni rispetto al negoziato. Anastasiades, da par suo, ha fatto tappa sotto il Partenone, a conferma del pesante ruolo di registi che i due Paesi garanti (e riferimento politico-culturale delle due comunità cipriote) hanno rispetto al futuro dell’isola.

I NODI DEL NEGOZIATO 
Le trattative cominciate a metà 2015 si sono arenate lo scorso 22 novembre a causa di dissensi, essenzialmente, rispetto al numero di rifugiati della diaspora che dal sud greco dovrebbe far ritorno nei territori occupati del nord e, di fatto, attorno alla scansione territoriale delle due entità in seno a un futuro stato unitario.

Ad aleggiare nella stanza anche la questione relativa agli stretti legami tra il nord e la Turchia: più di 30mila truppe di Ankara sono ancora di stanza nel settentrione dell’isola (il cui governo si oppone al ritiro totale). Differenze di vedute che hanno suggerito un supplemento di riflessione e di negoziati sottobanco, prima di far ritorno a Ginevra dopo la pausa di fine anno.

A pesare sulla mediazione sono anche le dichiarazioni di Akıncı secondo il quale l’accordo darebbe vita a una nuova creatura costituita dalle due entità, e le rivendicazioni dei greco-ciprioti che vedono invece l’eventuale intesa come un’evoluzione in senso federale della Repubblica di Cipro.

Anastasiades rivendica infatti di essere presente ai negoziati con il duplice cappello di leader della comunità greco-cipriota e di capo dello Stato, riconoscendo alla sua controparte solo la legittimazione di essere il riferimento della collettività turco-cipriota, e non anche di capo politico riconosciuto dalla comunità internazionale.

Come già tredici anni fa (quando appena una settimana prima dell’ingresso nell’Ue il piano Annan fu bocciato da due terzi della comunità greca e promosso da più della metà di quella turca), se anche stavolta le trattative dovessero portare a un accordo, questo dovrebbe comunque essere ratificato con un referendum che potrebbe tenersi, in entrambe le comunità, già in estate. Le previsioni, stavolta, farebbero ben sperare; ma l’anno appena trascorso ha insegnato come i referendum siano l’arte dell’imponderabile.

Se il 2016 sarà ricordato come l’anno durante il quale, con la Brexit, l’Ue si è ristretta a nord, il 2017 potrebbe essere l’anno del riallargamento a sud, con l’ingresso di una nuova porzione di territorio in una neonata Cipro federale, che da spina nel fianco diverrebbe ponte di dialogo privilegiato per l’Unione verso la problematica Turchia.

Articolo tratto da Affari Internazionali

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