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Smart working? Sfide e rischi. L’analisi di Civiltà Cattolica

FRANCESCO OCCHETTA Populismi

“Sul piano antropologico l’uomo è chiamato a rimanere il soggetto della tecnologia, e non un oggetto. Il dispositivo tecnologico è e resta frutto della sua intelligenza. Occorre negare ciò che i fautori del dominio della tecnologia sull’uomo affermano: naturale è uguale ad artificiale”. È quanto scrive padre Francesco Occhetta nel saggio su “Il lavoro 4.0” che comparirà nel prossimo numero della rivista La Civiltà Cattolica.

IL SAGGIO DI OCCHETTA

Occhetta analizza sfide, potenzialità, problemi e incognite dello smart working: “L’equilibrio uomo-macchina dell’industria 4.0 è delicato e rischioso. L’uomo potrebbe imparare a interagire con la macchina fino al punto di alienarsi nel mondo che essa ha creato e abdicare alla sua natura di homo empaticus – scrive la rivista dei gesuiti –. Così, ad esempio, egli potrebbe rinunciare al contatto con l’altro per trincerarsi nei luoghi dove presta la propria attività di lavoro grazie allo smart working, potrebbe non disconnettersi mai dal dispositivo mobile di cui a tal fine fa uso: grazie all’e-commerce riceve i generi di consumo, grazie alla stampa 3D realizza i manufatti di cui ha bisogno, tramite i cosiddetti Mooc (Massive Open Online Courses) riceve istruzione”.

LE DUE FACCE DELL’AUTONOMIA

Una competenza richiesta ai lavoratori, continua Occhetta, “è quella della gestione della propria autonomia. Questa dimensione cambierà i rapporti gerarchici e richiederà uno sforzo di adattamento e una evoluzione soprattutto dal punto di vista manageriale”. Per gestire queste nuove forme di lavoro – secondo la rivista diretta da padre Antonio Spadaro – “sarà necessario, per il lavoratore, avere un equilibrio umano e spirituale solido. Il far coincidere in una casa o in un appartamento il luogo del lavoro e gli equilibri relazionali, affettivi e familiari potrebbe essere un fattore di crisi”, scrive Occhetta. “Allo stesso modo, una disordinata gestione del tempo potrebbe appiattire sul lavoro anche quei momenti di riposo mentale, di gratuità e di lucidità di cui la vita ha bisogno. Per questo alcune delle parole-chiave su cui si basa il lavoro 4.0 sono formazione, cultura, normativa e conoscenza. Il lavoro 4.0 va pensato nelle logiche dell’economia del mercato, in cui non tutti i beni sono merci (ad esempio, la fiducia, la stima, l’amicizia). Se gestito esclusivamente secondo le logiche della società del mercato, che tende a monetizzare tutto, il lavoro 4.0 si realizzerebbe come negazione di se stesso. Le imprese competono nella conoscenza, e questa ha le sue premesse nella creatività, nella curiosità e nell’intelligenza, animata non dallo spirito capitalistico, ma da quello della cooperazione”.

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’UOMO?

Nelle conclusioni del saggio, Occhetta scrive: “Il lavoro è valore, ed è alla base della giustizia e della solidarietà. Se eclissiamo il valore, eclissiamo il significato di lavoro. E se, come sostengono Brynjolfsson e McAfee — che sono tra i maggiori esperti mondiali in innovazione tecnologica —, “la tecnologia non è il nostro destino, siamo noi a dare forma al nostro destino”, va anche precisato che non tutte le forme di lavoro sono forme di lavoro umano. Ad esempio, che cosa vuol dire per l’Occidente tecnologico che Apple vale più della Grecia? Quale mondo abbiamo costruito, se il valore di un’azienda, pur simbolo dello sviluppo occidentale (321,8 mld di euro), è superiore a quello del Paese dove l’Occidente è nato? Per quale motivo crescono a dismisura i profitti per le grandi multinazionali e, nelle stesse aziende, aumentano i licenziamenti?”.

IL RIFERIMENTO A PAPA FRANCESCO

Il saggio si chiude con una esortazione bergogliana: “Forme di lavoro che siano umane devono rispondere alle caratteristiche che papa Francesco sottolinea nell’Evangelii gaudium, quando definisce il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, [in cui] l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune (n. 192)”.


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