C’è, in giro, un’aria pre-totalitaria; e c’è un distacco crescente, lasciato a sé, tra il disagio d’intere popolazioni e i “decisori” o, come si dice oggi con un termine che volentieri accantonerei, i “leader”.
In questo distacco c’è tutta la nostra tragedia, la nostra disabitudine alle complessità della vita, il nostro voler continuare a imporre modelli dall’alto senza calarci, ri-fletterci, nelle contraddizioni “che siamo”.
Mai come oggi si avverte il “vuoto politico” nel quale siamo immersi. Forse Papa Francesco è tra le pochissime “figure globali” che ha capito che la vita vera non è nei summit ma nelle “periferie esistenziali”, laddove tutto si consuma e si dimentica, laddove preferiamo non guardare, in particolare noi occidentali vittime delle nostre stesse certezze.
Rispetto a questa tragedia dell’umano, che è la nostra, di ciascuno di noi, non possiamo più permetterci il lusso di stare alla finestra ma abbiamo la responsabilità di intervenire; non è più il tempo degli antagonismi, delle proteste di piazza, delle stupide omologazioni, del “politicamente corretto”. E’ venuto il momento di ri-pensare insieme un “progetto di civiltà”, di ri-tornare a comprendere, e a com-prendere in noi, i “segni dei tempi”.
Questo è un allarme, non è un appello; i “manifesti” degli intellettuali”, infatti, sono fatti per riempire i giornali, gli stessi che sono ormai pieni di “bufale” (alle quali diamo la dignità di “fake news” … in inglese suonano meglio). E’ bene che gli intellettuali, quelli veri, si distacchino dalla cronaca e aiutino a ri-pensare la storia. La mia impressione è che si sia aperto il palcoscenico su un’era pre-totalitaria, lungi dall’essere certi e tranquilli in sistemi post-totalitari; non è “finita la storia”, anzi, ma la “vita dimenticata”, e il “mistero dell’umano” continuamente offeso, rischiano di travolgerci.