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Cosa penso, da democratico, delle prime mosse di Donald Trump

ALESSANDRO MARAN SENATORE, Trump

Bisogna riconoscere che, tra un tweet e l’altro, nella sua prima settimana in carica, il presidente Donald Trump ha tratteggiato un quadro di politica estera coerente e, immagino, accuratamente progettato. Gli executive order di Trump delineano, infatti, in linea con lo slogan “l’America prima di tutto”, il cambiamento più importante nella politica estera americana dall’attacco giapponese a Pearl Harbor nel dicembre del 1941.

Archiviate la “difesa del mondo libero” e la “marcia per la libertà” (idee che, evidentemente, per il nuovo team di cinici che si è insediato alla Casa Bianca, sono sciocche e “perdenti”), Trump sta lanciando un attacco diretto proprio a quell’ordine liberale internazionale che ha fatto grande l’America dopo gli abissi della Grande depressione e ha garantito 70 anni di pace e prosperità. Infatti, attraverso il Piano Marshall, l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio prima e ora la World trade organization, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e molte altre istituzioni, gli Stati Uniti hanno guidato il sistema capitalistico del dopoguerra, che ha accresciuto il tenore di vita globale in modo straordinario, ha sconfitto il comunismo sovietico e ha convertito la Cina in una economia di mercato.

Inoltre, attraverso la Nato, in Europa, e una fitta rete di alleanze in Asia e nel Medioriente, gli Stati Uniti hanno tenuto a bada gli stati aggressivi, hanno coltivato alleanze stabili, relazioni cooperative e collaborative, e promosso riforme democratiche. Con questo sbarramento di ordini esecutivi, Donald Trump ha riportato invece l’America agli assilli che il mondo ha conosciuto prima del dicembre del 1941: confini chiusi, commercio limitato, intolleranza nei confronti della diversità, corsa al riarmo e rivalità generalizzate.

Il suo decreto per “ricostruire le forze armate americane” invoca la “pace attraverso la forza”, ma quel documento (come gli altri che ha firmato) non offre nient’altro che unilateralismo e militarizzazione: più spesa militare, più armi nucleari, un uso (illegale) più ampio della tortura e nuove promesse di distruggere lo Stato islamico e le altre minacce terroristiche. Gli executive order promettono di limitare la partecipazione americana alle organizzazioni internazionali, proibire ad intere categorie di stranieri di entrare nel paese e restringere lo scambio di idee e di merci. Da Roosevelt e Reagan, nessun presidente potrebbe riconoscersi in un paese del genere. Se poi a questo si aggiungono la decisione di ritirarsi dai negoziati commerciali della Transpacific Partnership (Tpp), di costruire un enorme muro al confine meridionale e di imporre alte tariffe sulle importazioni, gli Stati Uniti si ritrovano con una politica estera che li taglia fuori da quei legami che hanno favorito la loro crescita per 70 anni. Quali saranno i mercati di sbocco di un’America isolata e screditata? Da dove verranno i cervelli di cui ha bisogno? Se sarà in conflitto con i Paesi che comprano i suoi Bond (in particolare la Cina) da dove verranno i capitali per finanziare il suo debito? E come potrà prevenire le minacce esterne se le mancherà l’aiuto degli altri?

Va da sé che, per Trump, la definizione dell’interesse nazionale è focalizzata unicamente sul breve termine. Vuole creare più posti di lavoro (anche se le sue azioni col tempo finiranno per distruggerne di più), non mostra nessun interesse per una economia globale sostenibile, un pianeta vivibile o la diffusione della democrazia (anzi, gli executive order rivelano la sua profonda avversione verso tutte queste cose) e quel che gli importa davvero è soddisfare i suoi supporter all’interno degli Stati Uniti. Ma ciascuno dei suoi decreti fracassa un pilastro dell’ordine liberale. Visto che non c’è nessuno che possa prendere il posto degli Stati Uniti, il mondo sarà un posto più disordinato e pericoloso.

Quando il tetto finirà per cedere anche l’America sarà, tuttavia, più debole e scoraggiata. Più simile alla Francia nel 1940 che all’America del 1941. Probabilmente, i repubblicani avevano ragione a lamentare l’uso eccessivo degli executive order da parte del presidente Obama. Ma oggi tocca anzitutto a loro fermare l’opera di smantellamento globale che il presidente Trump ha intrapreso. Toccherebbe anche all’Europa. Per la prima volta dalla sua creazione, la Ue si trova alle prese con una amministrazione americana ostile. Dovrà fare da sola. Per questo, come ha detto un altro Donald, il presidente del Consiglio europeo Tusk, è tempo di lanciare “un segnale che non solo dobbiamo, ma vogliamo essere uniti”.


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