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Che fine ha fatto il disegno di legge sul lavoro autonomo?

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La riforma del lavoro autonomo, annunciata più volte come imminente, giace in parlamento ostaggio di veti e contro veti, nonostante le articolate mediazioni avvenute in commissione lavoro al Senato e le dichiarazioni subito dopo la presentazione del disegno di legge che nel novembre del 2016 sembrava cosa già fatta. Allora il relatore senatore Sacconi affermò che la larga condivisione parlamentare, oltre i confini della maggioranza del testo, a sostegno e promozione del lavoro autonomo, come del lavoro “agile”, era indicativo di una apertura politica e culturale alla responsabilità del risultato in ogni prestazione lavorativa, accentuata dalle capacità indotte dalle nuove tecnologie digitali. È questo infatti l’elemento comune di un provvedimento che riconosce la diffusione della fragilità ed il conseguente bisogno di tutele in ogni prestazione lavorativa. Ma promuove soprattutto la maggiore capacità di tutti i lavori, dipendenti e indipendenti.

Significativo fu allora il dato dell’Istat, poi successivamente confermato in crescita, che segnala, ancora oggi, dopo un lungo periodo negativo, la crescita dei lavori indipendenti per ben oltre 60 mila unità. Come è significativa la quotidiana evoluzione del lavoro subordinato verso modalità che rendono flessibile l’orario, il luogo della prestazione, il salario in relazione ai risultati. Il legislatore sembra così avere avviato una regolazione più essenziale e coerente con la dimensione nuova della stagione industriale incastonata sull’innovazione. Eppure, a tutt’oggi, con un bisogno essenziale di concludere l’iter parlamentare, la riforma è drammaticamente ferma, segno anche di una difficoltà politica degli schieramenti avviluppati nella imminente campagna elettorale che vede tutto l’arco costituzionale nel suo affanno più evidente.

Il ddl è la sintesi intelligente di un disegno di legge governativo e di uno parlamentare, in particolare, a prima firma Sacconi, e di un altro a firma Damiano e Fassina. Il testo è stato oggetto di diverse modifiche, dall’inizio, che hanno portato all’approvazione di numerosi emendamenti. Fa parte del ddl, tra le principali misure previste, la possibilità per professionisti e lavoratori autonomi di avere maggiori garanzie sui tempi e le modalità di pagamento. In tal senso, il ddl propone l’abusività di qualsiasi clausola nel contratto che preveda un pagamento della prestazione oltre i 60 giorni dalla presentazione della fattura. In maniera similare, diventerebbe abusivo qualsiasi rifiuto di stipulare il contratto per iscritto. Viene, inoltre, prevista la deducibilità del 100% delle spese “per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo”, come è scritto su Leggioggi.

Tali misure hanno lo scopo dichiarato di abbattere i costi sostenuti dal professionista. Ad essere semplificato anche l’ambito della salute e della sicurezza con il riconoscimento che gli studi professionali debbano essere trattati come le abitazioni, se a queste sono molto simili. Parimenti importante è la possibilità per le casse previdenziali dei professionisti di gestire tutte le prestazioni sociali integrative, anche di tipo assistenziale, come il sostegno al reddito in circostanze straordinarie. Molto importante il lavoro agile, o smart working, quel lavoro che, grazie alle tecnologie, si realizza per fasi, per cicli, per obiettivi perché il lavoratore dispone di un adeguato ambito di autonomia e di responsabilità dei risultati.

Dal momento che si prevede che i cambiamenti nel lavoro saranno sempre più veloci e imprevedibili, il ddl prevede che debbano essere le parti del contratto a definire di volta in volta le modalità della prestazione, anche con riguardo al diritto alla formazione e al diritto alla disconnessione in determinate fasce orarie. L’obiettivo del ddl è di avere una legge che non introduce nell’ordinamento giuridico una nuova tipologia contrattuale dagli incerti confini applicativi perché finalizzata alla utilizzazione nei contesti produttivi e di lavoro di tecnologie di nuova generazione in continua e rapida evoluzione; e neanche quello di introdurre correttivi alle regole, molte delle quali, peraltro di matrice comunitaria, che, come nel caso del telelavoro, hanno sino a oggi limitato la diffusione di forme flessibili di lavoro da remoto anche in chiave di (sola) conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne.

E il bilanciamento dei tempi di vita coinvolge tutte le persone non solo le lavoratrici, in tutte le stagioni e fasi della vita, e comprende il benessere, la salute, la previdenza e l’aggiornamento della propria formazione e percorso in azienda, con la costruzione di un nuovo Welfare della persona in cui anche le parti sociali, e dunque la stessa comunità, risponde alla domanda di garantire la sostenibilità a tutte le persone e in tutte le dimensioni. Pertanto, il ddl in discussione si pone come un passo importante nella riforma del lavoro in atto negli ultimi anni, che possa estendere alcune novità fondamentali a tutti i lavoratori autonomi che non godono di un preciso inquadramento di lavoro dipendente. Non fermiamo le riforme che servono!

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