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Donald Trump e il ritorno dell’idealismo nazionale

Al sogno europeo si contrappone un “nuovo” nazionalismo responsabile, evidente già in Brexit, ma più drammaticamente professato da Donald Trump. Questa forma di revival dello Stato nazionale non è affatto nuovo, ma rappresenta un semplice ritorno all’idealismo secolare che ha caratterizzato la società occidentale fin dai tempi di Hegel. Uno statalismo popolare è al centro di questa teoria filosofica, per cui lo Stato e il popolo sono un tutt’uno e costituiscono la più alta espressione dell’eticità. Essendo lo Stato formato da un solo popolo, per Hegel e per i suoi epigoni non possono esistere entità superiori allo Stato, e tantomeno organismi sovranazionali. Paradossalmente, visti i rispettivi ruoli che sembrano assegnarsi oggi la Germania e gli Stati Uniti, i tentativi di coordinamento multilaterale e lo stesso diritto internazionale non esistono se non come tentativi bilaterali di comunicazione tra gli Stati. I trattati internazionali sono dunque delle dichiarazioni di intenti, che riguardano sempre transazioni bilaterali, che gli Stati sono liberi di sottoscrivere, come di infrangere. Questa, è in effetti, la dottrina di Trump, che anzi si propone di eliminare le ambiguità insite nei trattati multilaterali e nelle pretese di sovra-nazionalità, ricostruendo un ordinamento internazionale basato esclusivamente su accordi bilaterali tra gli Stati sovrani.

Questo Hegelismo di ritorno ha già avuto manifestazioni più o meno deteriori nel passato, ed è stato associato a cambiamenti radicali della scena politica e istituzionale. Hegel credeva che questi cambiamenti potessero avvenire attraverso l’investitura di uomini comuni da parte dello spirito (In una famosa lettera dell’ottobre del 1806 riferendosi a Napoleone, il filosofo afferma di aver visto “lo spirito del mondo seduto a cavallo che lo domina e lo sormonta”). Secondo Hegel, la maggior parte dei leader hanno una funzione di conservazione interna dello stato etico, ma le grandi trasformazioni avvengono perché “l’astuzia della storia” spinge alcuni eccezionali leader a realizzare i cambiamenti radicali che sono necessari per il progresso dei popoli, senza tuttavia averne coscienza e pensando di seguire esclusivamente le proprie passioni e ambizioni. I grandi leader sono quindi anche grandi destabilizzatori dell’etica pubblica e, diremmo noi , del “politically correct”, e sono perciò destinati a essere sbeffeggiati, ostacolati e infine a perire, anche in modo infamante, ma, Hegel argomentava, i cambiamenti da essi generati vanno inevitabilmente nella direzione che la realizzazione della storia richiede e che realizza il progresso dello spirito.

La Brexit e, più drammaticamente il nuovo leader americano, Donald Trump, sembrano dunque indicare che siamo entrati in una era di transizione, con drammatici cambiamenti alle porte, ma anche, in un certo senso, con il ritorno del passato. La storia che viene radicalmente cambiata dal leader, inconsapevole agente dello spirito, è infatti una narrativa romantica, che ha animato i secoli scorsi e che sta alla base di innumerevoli vicende, grandi e piccole, di distruzione e di rinnovamento. Certo, non ogni leader massimo si può considerare un eroe, o un legittimo rappresentante della storia, ma la narrazione della “distruzione creativa”, così attraente anche per la teoria economica, ha il suo fascino. La combinazione di populismo e nazionalismo, anch’essa non un fatto nuovo, aggiunge una attrazione ulteriore in un mondo disintegrato da una globalizzazione senz’anima.

Nella distruzione creativa preconizzata, l’Unione Europea appare sempre più come la vittima designata. Da un parte, essa è infatti l’ultimo bastione del sovra-nazionalismo, in forma incompiuta e quindi più vulnerabile. Dall’altra parte, la nazione leader, la Germania, come erede dell’ultima grande distruzione a base nazional-popolare, è il paese che ha più drammaticamente abbracciato il modello sovranazionale, multietnico e multiculturale. Anche se la storia non si ripete, sembra esserci un leit motiv in questa contrapposizione tra globalismo e nazionalismo, governi di elites e governi di popolo e scontri regionali tra le due sponde dell’Atlantico, con Germania e USA a posizioni apparentemente invertite, dopo lunghi anni di Pax Americana seguiti all’ultimo conflitto. Pur essendoci un elemento romantico anche nel sogno del federalismo europeo, il progetto di Europa unita è stato concepito come una costruzione razionale, che sembra incrinata dalle delusioni globali e dallo slancio romantico del nuovo nazionalismo. Riuscirà il sogno europeo a resistere?

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