Era il 2006 quando i primi movimenti di difesa dei diritti degli immigrati negli Stati Uniti convocarono uno sciopero per il 1° maggio. Volevano far sentire la loro voce contro la riforma della legge di immigrazione, che prevedeva un aumento delle condanne per gli immigrati illegali. All’epoca, secondo il centro Pew Research Center, negli Stati Uniti c’erano circa 11,5 milioni di stranieri senza documenti in regola. In quella prima giornata senza immigrati, l’impatto per l’economia americana è stato di circa sei miliardi di dollari. Secondo Los Angeles County Economic Development, solo alla città di Los Angeles lo sciopero di lavoratori immigrati è costato 52 milioni di dollari.
IMMIGRATI CONTRO TRUMP
L’esperimento è stato ripetuto il 16 febbraio, come forma di protesta contro le nuove regole di immigrazione imposte dal presidente Donald Trump. Ancora non ci sono cifre ufficiali delle perdite per l’economia del Paese, ma in proporzione al numero di lavoratori immigrati gli effetti potrebbero solo aumentare.
La giornata senza immigrati convocata dalla campagna riforma migratoria si è svolta in diverse città americane. Da Austin a Chicago, passando per New York e Washington DC, molti negozi e ristoranti sono rimasti chiusi, e in alcuni alberghi e aziende i lavoratori non si sono presentati al lavoro come forma di protesta. Su Facebook, l’organizzazione UnitedWeStay ha pubblicato un video in cui si confronta l’iniziativa con il film “Un giorno senza messicani”. “Non siamo un peso per questo Paese. Anzi, siamo una forza di lavoro”, ha detto a Univisión Nelly Romero, proprietaria di un ristorante messicano nella via Mount Pleasant a Washington DC. Nella capitale americana sono rimasti chiusi 65 ristoranti.
NUMERI E STATISTICHE
Secondo la Segreteria per il lavoro, nel 2015 c’erano 26,3 milioni di lavoratori immigrati in America, cioè il 16,7 per cento della forza lavoro. Quasi il 50 per cento è di origine ispanica. Non sono soltanto mano d’opera, ma anche imprenditori che contribuiscono attivamente alla crescita economica del Paese. Secondo Jens Heinmueller, co-direttore del laboratorio di politica migratoria dell’Università di Stanford, circa il 40 per cento delle 500 imprese più importanti degli Stati Uniti sono state fondate da immigrati o da loro figli. Sono un esempio Apple, Google o Intel.
LAVORATORI E CONTRIBUENTI FISCALI
Alcuni studi – di diverse tendenze politiche – coincidono sull’impegno lavorativo degli immigrati, motivato dalla necessità di inviare denaro alle proprie famiglie nel Paese di origine. Nel 2015, l’indice di disoccupazione era più basso tra gli immigrati rispetto agli americani (4,9 per cento di fronte al 5,4 per cento, rispettivamente).
Secondo il sistema di Assistenza sociale, 3,1 milioni di immigrati irregolari hanno pagato le tasse nel 2010. Per l’Institute for policy fiscal and economic, gli immigrati illegali pagano circa 11,6 miliardi di dollari in tasse negli Stati Uniti. La Foundation Heritage sostiene che nel 2013 una famiglia di immigrati irregolari spendeva in media 10,334 dollari all’anno in tasse.
LA NUOVA TENDENZA
Nel 2014 il centro Pew aveva registrato 11,1 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti, mentre nel 2007 erano 12,2 milioni. Per William H. Frey, demografo del Brookings Institution, “gli indici di immigrazione non sono uguali a quelli di 10 anni fa. L’aumento più recente potrebbe rappresentare un’opportunità per le popolazioni statiche, che invecchiano e non si rinnovano”.
LA VERSIONE DEGLI ECONOMISTI
Negli anni Novanta, gli immigrati contribuirono significativamente alla crescita del Paese grazie all’innovazione. Secondo alcuni economisti americani, sarà impossibile raggiungere gli obiettivi di Trump sulla riattivazione del mercato del lavoro (25 nuovi posti di lavoro entro il 2027) senza l’aumento dell’età pensionabile né il contributo degli immigrati.
In un’intervista con l’agenzia Afp, Jennifer Hunt, ex direttore della Segretaria del lavoro, ha spiegato che “l’unica forma di dare senso a queste proposte dal punto di vista economico è aumentare la popolazione”. Anche per Ian Shepherdson, economista del Pantheon Macroeconomics, “gli obiettivi di Trump sono irraggiungibili con la mano d’opera attuale”.
Ben Zipperer, dell’Economic Policy Institute, crede che la crescita dell’immigrazione è necessaria tenendo conto che un americano su quattro avrà più di 65 anni nei prossimi 10 anni, per cui o si chiede ai cittadini di lavorare più anni o si assumono stranieri: “Oggi i lavoratori immigrati sono circa 25 milioni. Una parte abbastanza importante dell’economia”.
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