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Quel che resta dell’Europa

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Alla fine del suo auto-esilio americano, Giuseppe Prezzolini scrisse un volumetto che aveva come obiettivo quello di fare conoscere l’Italia agli Usa non di poco conto nel Governo e nel futuro sviluppo del Belpaese. Il volume aveva anche come scopo di fare guadagnare Prezzolini che, anziano, tornava in Italia con una pensioncina da professore universitario americano. Eloquente il titolo dell’edizione originale americana del 1948 The Legacy of Italy (L’eredità dell’Italia). Ancora di più, la traduzione italiana, riedita una quindicina di anni fa, in versione economica nella collana Biblioteca Universale Rizzoli: L’Italia finisce, ecco quel che resta. Vale ancora leggerlo e meditarlo.

Poche sere fa ad una cena organizzata al Circolo del Ministero Affari Esteri, l’Ambasciatore del Regno Unito Jill Morrisexit avrebbe rafforzato, non indebolito, l’Europa (non ha parlato di Unione Europea per sé).  Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha dedicato l’editoriale ad un sondaggio in sette Paesi dell’UE da cui si ricavava che i sentimenti europeisti sono forti e maggioritari. Eppure sarebbe il caso di esaminare dati e tecniche campionarie con maggiore attenzione.

In queste settimane ho contatti più frequenti del solito con amici americani con cui nel 1967-68 frequentai (un anno a Bologna ed uno a Washington) un corso biennale di specializzazione post-laurea in relazioni internazionali nella sede europea (Bologna) e centrale (Washington) della School for Advanced International Studies (SAIS).  Stiamo, infatti, organizzando una celebrazione a Bologna per  i 50 dal nostro diploma. Dato che ho vissuto a Washington più di quindici mesi sono sempre rimasto in stretto contatto con i colleghi di corso, tra cui annovero alcuni dei miei migliori amici.

Allora la centralità dei nostri studi e delle nostre riflessioni era il focus dei nostri studi. Si ipotizzava o sognava una Comunità Economica Atlantica basata su due pilastri, gli Stati Uniti e l’Europa in via d’integrazione. Una volta completato (o almeno portato a buon punto) il processo d’integrazione europea, la Comunità Atlantica avrebbe assicurato stabilità dall’Atlantico agli Urali, se non fino a Vladivostok.

Quasi in parallelo, a Honolulu, lo East-West Center dell’Università delle Hawaii (era in corso la guerra in Vietnam, Laos e Cambogia), si facevano ragionamenti analoghi sul Bacino del Pacifico. Nelle riflessioni di queste settimane si raffrontavano le aspettative di allora con l’effettiva evoluzione. Da quaranta anni il Bacino del Pacifico è in rapida crescita, il che ha consentito di fare uscire oltre tre miliardi di persone di uscire dalla soglia di povertà assoluta, nonché di trasformare interi Stati in centri di sviluppo tecnologico utili, anzi necessari all’intera umanità. L’Europa invece, dopo essere stata a lungo la bella addormentata, per le sue bellezze naturali ed artistiche, appare nel contesto internazionale, sempre più in litigioso declino. Non è caso di chiedersi se la ragione non sia il metodo seguito?

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