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Che cosa succede tra industria del farmaco e hitech?

Massimo Scaccabarozzi, Fabrizio Landi, Francesco Stronati, Roberto Ascione

L’industria della salute è cambiata e a innescare il cambiamento, come è accaduto e continua ad avvenire in molti settori, è la tecnologia, un nuovo alleato per enti di ricerca, aziende farmaceutiche e l’intero sistema dell’healthcare ma che esige un radicale ripensamento del modo di fare. Se ne è discusso all’evento “Pharma Tech dialogue”, promosso da Formiche con la collaborazione di Farmindustria e svoltosi presso il Centro Studi Americani giovedì scorso. Se il medico e l’infermiere restano le figure centrali per la cura e l’assistenza ai pazienti, sulla scena della sanità sono saliti da protagonisti anche matematici, ingegneri, informatici, esperti di nanotech, sensoristica e, sì, persino i social media. Sfide e opportunità, dunque, ma anche incognite.

RIVOLUZIONE DIGITALE

“Non saranno i tweet a curarci nel futuro”, ha chiarito Roberto Ascione, Ceo di Healthware International e thought leader della digital health, ma intanto i social contribuiscono a disseminare conoscenza tra medici e pazienti su sintomi e stili di vita corretti. Anche questo fa parte della rivoluzione hitech per la sanità: l’uso di smartphone, app, device indossabili per controllare i parametri vitali, pillole digitali ingeribili che curano solo le cellule malate – non è il futuro ma il presente della medicina, fatta di innovazioni che escono sempre più spesso dalle start-up e dalla loro collaborazione con i grandi dell’hitech e del farmaco.

UN MOTORE PER L’ECONOMIA

L’alleanza tra l’industria farmaceutica e gli attori del mondo tecnologico è la chiave di volta di un settore che resta uno di più potenti motori dell’economia italiana: circa 200 aziende associate a Farmindustria, che rappresentano oltre il 90% del valore industriale del settore, 63.500 addetti e altri 66.000 nell’indotto, 6.100 addetti alla ricerca e sviluppo, 30 miliardi di euro di produzione, di cui il 73% destinato all’export, 2,6 miliardi di euro di investimenti, eccellenze in quasi tutte le regioni italiane, da Nord a Sud, con due poli di spicco, Lombardia e Lazio sono i numeri che fanno dell’Italia il secondo maggior produttore farmaceutico dell’Ue dopo la Germania, con l’ambizione di arrivare al numero uno. “Le tecnologie sono entrate a pieno titolo nell’industria e il settore è stato chiamato a una rapida e profonda trasformazione”, ha sottolineato Massimo ScaccabarozziPresidente di Farmindustria. “Abbiamo cambiato il modo di produrre ma anche di fare ricerca e sviluppo, non più chiusa nei laboratori dei big del farmaco, ma distribuita su una rete di strutture che innovano in modo mirato e collaborano tra loro, comprese le start-up tecnologiche”. L’industria del farmaco fa anche da traino per il passaggio al cosiddetto Industry 4.0: ha già automatizzato e digitalizzato molti dei processi, e continua a farlo.

START-UP E RINASCIMENTO 

Il modo nuovo di fare ricerca e innovazione nell’era dell’hitech è una vera rivoluzione per il mondo sanitario, e anche qui l’Italia può trovare un’eccezionale occasione di crescita. “E’ finita l’era delle ricerche massicce”, ha detto Fabrizio Landi, Presidente della Fondazione Toscana Life Sciences e membro del Cda di Leonardo e Menarini Diagnostics. “Questa è l’era della ricerca e del farmaco di precisione, siamo più veloci nel portare la cura al paziente”. Il carattere non più intensivo dell’R&D (che richiedeva grandi investimenti per risultati non sempre ottimali) permette oggi anche a piccole start-up con altissima capacità innovativa di sperimentare e proporre soluzioni che rivoluzionano le cure (avviene sempre più spesso, per esempio, in campo oncologico); i big del settore farmaceutico intervengono poi coi propri mezzi per portare l’idea al mercato, in un circolo virtuoso tra aziende di calibro e natura diversa. “Per noi in Italia si tratta di una grande occasione di una sorta di Rinascimento della bottega artigiana, ma applicata alla ricerca tecnologica per il settore sanitario”, secondo Landi.

TUTTE LE TECNOLOGIE PER LA SALUTE

Sensori per catturare dati utili al monitoraggio del paziente, connettività su banda ultra-larga per permettere ai dati di viaggiare e ai device e alle persone di comunicare, biotecnologie e nanotecnologie per cure mirate, queste le tecnologie cui guarda il settore sanitario. Ma non finisce qui: cloud per la conservazione e condivisione dei Big data, analytics, per studiarli e ricavarne conoscenza, sistemi cognitivi e intelligenza artificiale per dare supporto ai ricercatori e alle imprese nella loro attività. Sono tecnologie su cui il colosso dell’informatica IBM sta puntando con decisione da alcuni anni, come ha indicato Francesco Stronati, Vice President IBM, Health and Public Sector: “IBM con i suoi software, come quello che alimenta il super-computer Watson Health, vuole arricchire le conoscenze e potenziare l’attività e l’efficacia di ricerca e industria”. Insomma, nessun robot che si sostituisce all’uomo ma una macchina, o meglio un “cervello”, che interagisce e supporta le persone grazie alla sua capacità di catturare, elaborare e restituire quantità di informazioni come nessun essere umano potrebbe fare e di apprendere costantemente dall’esperienza.

CHE COSA SERVE ORA ALL’ITALIA

Ma il nostro sistema-paese sa cogliere le promesse della sanità digitale? “L’Italia è pronta al connubio tra sanità e hitech e all’Industria 4.0 in termini di ricerca, talenti e tessuto imprenditoriale, ma è la mentalità volta al cambiamento che ci manca”, secondo Scaccabarozzi. “Crescere non è una scelta. Lo Stato non veda il privato come nemico”. Come a dire, le alleanze pubblico-privato sono la strada: innescano investimenti e promuovono gli ecosistemi che sorreggono il tessuto produttivo. Nell’era dei Big data, è anche così che si crea il valore: mettendo in condivisione tra tutti i player capitale umano e conoscenza. Senza ecosistema e infrastruttura, del resto, le botteghe dell’hitech non possono fiorire e portare la loro innovazione al mercato, ha chiarito Landi.

“Dobbiamo investire di più”, ha ribadito Ascione. “Il mondo della finanza ha speso l’anno scorso per sostenere il settore del digital health 10 miliardi di dollari su scala globale, di cui 8 miliardi negli Usa, quasi niente in Italia”. Peccato, perché l’uso delle tecnologie renderà la sanità “più sostenibile” nei costi ma anche più “umana” perché a misura di paziente. Una “misura”, ha concluso Stronati, che passa anche per la protezione dell’integrità e della riservatezza delle informazioni: i Big data sono una miniera per chi fa ricerca e fornisce cure, ma è la persona che resta al centro dell’attenzione.



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