E’ un Mediterraneo di pace e sviluppo quello andato in scena oggi a Roma.
In contemporaneo la Capitale è stata protagonista della visita di Stato del Presidente della Repubblica tunisina Beji Caid Essebsi e dello dello Strategic Growth Forum Mediterranean organizzato da EY, una due giorni nella quale i leader del mondo dell’imprenditoria e delle istituzioni provenienti da Europa, Medio Oriente, Nord Africa, India e Cina si stanno controntando su temi di attualità che possono guidare lo sviluppo e l’accelerazione delle nostre economie. All’evento oggi hanno partecipato tra gli altri il Ministro degli Esteri Angelino Alfano e il Vicepremier libico Ahmed Maiteeq, mentre domani interverranno il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda.
La visita di Stato del Presidente della Repubblica tunisina
Essebsi, che era accompagnato all’incontro anche dal Ministro tunisino degli Affari Esteri, dal Ministro dello Sviluppo degli Investimenti e della Cooperazione Internazionale, dal Ministro del Turismo e da una rappresentanza di imprenditori, ha incontrato il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
“Il Governo italiano- ha dichiarato Calenda- è determinato a rafforzare ulteriormente la collaborazione con la Tunisia non solo favorendo i rapporti economici tra gli imprenditori dei due Paesi ma anche stimolando la cooperazione su programmi strategici e su temi prioritari per entrambi i Paesi quali l’elettrodotto Elmed”.
Rivolgendosi in particolare agli imprenditori, il Ministro Calenda ha assicurato che il Governo italiano fornirà loro assistenza per lo sviluppo degli investimenti bilaterali e ha annunciato l’organizzazione di una missione economica in Tunisia “per rafforzare i progetti di collaborazione già esistenti e creare la base per nuove iniziative di investimento”. Tra queste il Ministro ha in particolare menzionato l’interesse italiano per il progetto di interconnessione elettrica ELMED “considerato un progetto prioritario per i nostri due Paesi e suscettibile di rafforzare la sicurezza energetica nonché il partenariato tra i Paesi Euromed a favore della stabilità della regione”.
L’Italia riveste un ruolo storicamente importante negli scambi commerciali con la Tunisia: nel 2015 rappresentava il 2° paese di destinazione – dietro solo alla Francia – delle merci tunisine, con una quota pari al 17,2% e il secondo mercato di provenienza, sempre alle spalle dello Stato transalpino, dei beni acquistati dalla Tunisia, con una incidenza del 16,5%. Posizioni confermate nei primi 5 mesi del 2016.
“È stato un incontro molto interessante, che conferma il grande potenziale di una collaborazione rafforzata tra le imprese italiane e quelle tunisine”, così Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria commenta l’incontro.
“Il mercato tunisino è centrale per le imprese italiane – spiega Boccia – anche in virtù della sua posizione strategica nel Mediterraneo. In Tunisia c’è una forte presenza imprenditoriale italiana: con più di 800 aziende, il nostro Paese occupa una delle primissime posizioni, soprattutto in termini di investimenti e di localizzazione di sedi produttive grazie anche all’elevato tasso di affinità tra le specializzazioni della Tunisia e la manifattura tipica del sistema Italia. Il dialogo tra Confindustria e la nostra omologa tunisina, UTICA, è costante e incentrato sullo sviluppo di progetti congiunti per supportare, in particolare, l’attività delle pmi. Dal lavoro comune, sostenuto dai rispettivi governi, possono scaturire due piattaforme verso l’Europa e verso il Mediterraneo, in modo da garantire mercati sempre più ampi alle nostre produzioni – conclude il presidente di Confindustria – Contro la logica dei protezionismi che mortificano gli scambi e deprimono l’economia, il nostro obiettivo è creare condizioni per allargare orizzonti e opportunità”.
All’incontro sono intervenuti i rappresentanti di diverse imprese italiane presenti sul mercato tunisino come Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti, Terna, Prysmian, Ansaldo Energia, Cesi, Grimaldi e Marzotto Group.
Lo Strategic Growth Forum Mediterranean organizzato da EY e i dati del BaroMed 2017
I 28 paesi dell’area Euro mediterranea sono riusciti a difendere la loro quota nei flussi di mondiali di capitali tra il 2011 e il 2015 attraendo un totale di 771 miliardi di dollari di investimenti diretti esteri.
È quanto emerge dal report BaroMed di Ey presentato nell’ambito dello Strategic Growth Forum Mediterranean che riunisce a Roma oggi e domani business leader, politici, imprenditori, aziende e istituzioni finanziarie per discutere di come liberare il potenziale dell’area mediterranea. È aumentato il ruolo delle imprese cinesi e hanno conquistato un ruolo centrale gli investimenti hi tech, che sono il terzo settore dell’economia Euro mediterranea in termini di progetti greenfield e il secondo in termini di fusioni e acquisizioni.
“L’Italia gode di un vantaggio logistico impareggiabile rispetto agli altri grandi Paesi industriali, essendo il vero hub del Mediterraneo. È un ruolo che ci viene riconosciuto, il mondo ci chiede di farlo”, ha dichiarato l’ad di Ey, Donato Iacovone.
Lo studio prende in esame la salute complessiva dell’economia dell’area mediterranea, includendo in questa l’Europa meridionale, il Nordafrica, il Medioriente e i Paesi del Golfo. Sono quattro i principali settori di analisi: tecnologia e impatto del digitale, energie rinnovabili e efficienza energetica, sicurezza e cyber-security, infrastrutture e logistica.
Al centro ci sono le potenzialità di sviluppo dell’area mediterranea, notevoli nonostante il contesto di instabilità geopolitica e il ruolo centrale che in tutto questo può avere l’Italia, che deve diventare motore di crescita e giocare un ruolo di primo piano nello sviluppo dell’area, in cui giocano un ruolo importante sia i Paesi del Golfo che la Cina.
A guidare la stabilità economica e le prospettive di crescita dell’area è l’industria 4.0 nelle sue varie declinazioni: infrastrutture e logistica, energia e ambiente, servizi finanziari, turismo e agroalimentare.
Un dato rilevante riguarda la sempre maggiore presenza di imprese cinesi che, se si escludono i Paesi europei rappresentano, il 10% dell’M&A nel periodo 2011-2015.
L’altro grande gruppo di investitori nell’M&A è rappresentato dai Paesi del Golfo, per circa il 24% delle operazioni in Nordafrica nello stesso periodo.
Analizzando i dati, emerge che:
molte delle fusioni e acquisizioni sono state guidate da esigenze di consolidamento da parte delle imprese: investire in Paesi che hanno comunque una prospettiva di crescita, evitando gli aspetti più rischiosi che normalmente caratterizzano la fondazione di imprese ex novo. Per questo la crescita dell’M&A va di pari passo con la diminuzione dei progetti greenfield, che pur tuttavia rappresentano una quota interessante, soprattutto nei Paesi del Nordafrica. Per l’M&A parliamo di: prodotti di consumo e vendita al dettaglio (15%); manifatturiero (14%); servizi finanziari (8%).
In linea generale si può parlare di stabilità degli investimenti nell’area, soprattutto in una prospettiva di crescita futura: aumenta il numero degli investimenti (+0,5%), pur se di valore inferiore (6%). In uno dei momenti più difficili della storia dell’intera regione mediterranea, l’impegno degli investitori nella regione è rimasto stabile. Il totale delle operazioni di investimento è cresciuto del 0,5% tra il 2011 e il 2015. Questo è stato inaspettato considerando l’instabilità politica ed economica nella regione comunque, il valore complessivo degli IDE è diminuito del 6%, suggerendo che gli investitori sono focalizzata su progetti un po’ più modesti.
Il 47% degli investimenti diretti esteri nella parte europea del Mediterraneo rappresentano progetti greenfield di natura commerciale, il 70% nei Paesi del Golfo e 60% in Medio Oriente. Segno che un’esigenza rilevante per le imprese è quella di essere vicine a mercati di sbocco evidentemente promettenti nel medio periodo.
Nel 2015 l’area mediterranea ha registrato il miglior afflusso di investimenti diretti esteri dal 2008. Inoltre, nei Paesi del Golfo, soprattutto negli Emirati Arabi Uniti, la crisi petrolifera è stata occasione per attrarre investimenti diversificati e questo rappresenta un’opportunità per imprese italiane di diversi settori, in particolare immobiliare, lusso, abbigliamento, agroalimentare e high tech.
Ma la nota forse più interessante è rappresentata dal fatto che gli investimenti high tech rappresentano il terzo settore dell’economia euro mediterranea in termini di progetti greenfield e il secondo settore in termini di M&A. Tre Paesi si distinguono in termini di sviluppo del software: Israele, Francia e Spagna. In questi Paesi, i finanziamenti pubblici e privati per ricerca e sviluppo, l’accesso al capitale di rischio e la formazione hanno trasformato il digitale in un fattore di sviluppo economico primario. I miglioramenti della qualità dell’istruzione e delle infrastrutture di telecomunicazioni hanno aiutato la regione a diventare più attraente per un crescente numero di aziende tecnologiche. Israele è diventato un digital hub primario, soprattutto per startup e imprese impegnate nella cybersecurity.
Tra i punti che vanno rilevati c’è anche il fatto che la diminuzione del costo del lavoro e le riforme nella legislazione sul lavoro abbiano spinto le imprese del settore automobilistico ad espandere la propria produzione in Spagna, Italia e Portogallo.
Per quanto riguarda le opportunità per l’innovazione tecnologica, Marocco, Tunisia ed Egitto in Nord Africa sono per lungo tempo state le mete preferite per l’outsourcing IT. Una crescente forza lavoro in ingegneria spingerà gli investitori sempre di più in questi Paesi. E questo rappresenta un’opportunità concreta anche per l’Italia.
In generale, ciò che emerge dall’analisi BaroMed sviluppata da EY è che le prospettive di stabilizzazione di lungo termine abbiano avuto la meglio sull’incertezza politica ed economica che regna attualmente nella regione.
Un’area di investimento primaria è quella della logistica: il traffico di container ha mostrato un enorme aumento negli ultimi 20 anni (+ 400%), con l’area mediterranea che copre il 19% del traffico marittimo mondiale e il 25% dei trasporti container. Il raddoppio del Canale di Suez ha visto il passaggio di 823 milioni di tonnellate di merci nel 2015 (10% del commercio marittimo mondiale). Nel complesso, la tratta Asia-Europa è passata dal rappresentare il 27% dei traffici mondiali al 42%.
In sintesi, sono sei i driver di crescita principali:
1) Stabilità e sicurezza: la preoccupazione maggiore degli investitori nell’area mediterranea riguarda la crisi siriana e la situazione della Turchia e della Libia.
2) Sviluppo dei talenti e delle competenze: Oggi la regione ha 565 milioni di abitanti ed è cresciuta in media del 2% annuo tra il 2011 e il 2015: entro il 2040 la popolazione complessiva dovrebbe raggiungere 750 milioni. Fra il 2000 e il 2010, secondo la Banca Mondiale, in Nordafrica e Medioriente è cresciuto molto il tasso di educazione primaria (dall’86% al 94%) e secondaria (dal 62% al 70%): questo rappresenta una garanzia in termini di professionalità sempre più qualificate.
3) Digitalizzazione: migliorare la qualità delle infrastrutture ICT aiuta la regione a diventare sempre più attraente per imprese innovative. Israele è diventato l’hub digitale principale dell’are mediterranea, attraendo sempre più startup, molte delle quali impegnate nel campo della cybersecurity. I Paesi del Golfo hanno già iniziato ad investire nell’high tech, diversificando il proprio impegno a fronte della crisi petrolifera.
4) Infrastrutture e logistica: è uno degli ambiti più interessanti di investimento, il 14% fra le voci di investimento nell’Europa mediterranea, il 22% nell’area Balcani-Turchia, il 26% in Nordafrica e il 25% in Medioriente, per una media del 22% degli investimenti in tutta l’area Euromed (il 21% nei Paesi del Golfo, al secondo posto dopo l’oil & gas).
5) Efficienza energetica: con una media di 50 dollari al barile come prezzo del petrolio, le operazioni di M&A nel settore sono crollate del 45% fra il 2011 e il 2015. Si impone quindi uno sviluppo complementare di nuove fonti energetiche, nel segno di una maggiore efficienza.
6) Finanziare la crescita: facilitare la mobilità di capitali e l’accesso ai finanziamenti è una sfida importante per le imprese tutta la regione. Secondo dati della Banca Mondiale, in Nord Africa e Medio Oriente, l’accesso al credito è ancora difficile e costoso per imprese di qualsiasi dimensione. Buona parte della popolazione è ancora senza un conto in banca: 86% in Egitto, 44% in Turchia e il 30% in Arabia Saudita. Il potenziale di mercato per il settore bancario e finanziario è forte. I servizi finanziari sono oggetto di oltre il 10% delle operazioni di M&A nei Balcani e in Turchia, Nord Africa e Paesi del Golfo. Essi anche rappresentato il 14% degli investimenti greenfield in Medio Oriente.
Una considerazione va fatta a questo punto sulle dinamiche demografiche e sociali e sul fenomeno migratorio. Il Medioriente e il Nordafrica vedono una crescita della popolazione parallela alla crescita del tasso discolarizzazione, rappresentando questo una garanzia in termini di professionalità qualificate giovani e in grado di fornire forza lavoro sempre più qualificata.
In tutto questo va considerata l’importanza, ricordata peraltro in varie occasioni anche dalla Commissione Europea, di cogliere le opportunità date dal fenomeno migratorio: molte persone in arrivo in Europa dalla Siria, ma anche da alcuni Paesi nordafricani, hanno un ottimo tasso di scolarizzazione e buone competenze digitali. L’immigrazione deve essere pensata come una vera e propria risorsa per il nostro welfare: un adeguato sistema di gestione dei flussi migratori può controbilanciare il calo demografico che sta colpendo il Paese.