I commenti a “Il mistero dell’anomia al tempo dei due Papi”, la rubrica di dicembre, sollecitano ulteriori riflessioni.
V’è da chiedersi se la decisione di Benedetto XVI non sia un evento che va al di là della dimensione storica, più che per la rinunzia alle chiavi di San Pietro, per l’instaurazione del Papa emerito.
La rinunzia ha carattere eccezionale ma, sopito il clamore mediatico, la sua forza simbolica non può essere colta che tenendo presente che la facoltà è prevista dal diritto canonico (can. 332, §. 2) ed era già stata esercitata seppur i tempi remoti.
Massimo Cacciari invita a “chiedersi se la decisione di Ratzinger non sia una lucida dichiarazione di impotenza a reggere una funzione di ‘potere che frena’” (www.vita.it). Con la rinunzia, Benedetto XVI avrebbe ammesso la sua incapacità (a continuare) ad incarnare il ruolo del Katechon che, nella Lettera ai Tassolonicesi di San Paolo, è chiamato a frenare il mistero dell’anomia (mysterion tes anomias o, nella Vulgata, il mistero dell’iniquità) sino all’avvento dell’anomos (o figlio della perdizione).
Tuttavia, la risposta è nella stessa Declaratio: “ Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. E la cronaca di quelle giornate spiega una motivazione personale che non necessariamente segna l’impotenza catecontica della Chiesa.
A ben vedere, è la istituzione del Papa emerito a costituire un unicum assoluto nella storia del Cristianesimo, esprimendo “di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo”, come ebbe a dichiarare Georg Ganswein (www.acistampa.it) e, più recentemente, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwuig Muller, secondo il quale Francesco e Benedetto “esercitano entrambi un ufficio, al servizio della fede e della Chiesa” (www.aldomariavalli.it).
Il dibattito tra canonisti e storici sul valore istituzionale del Papa emerito è apertissimo, ma se la sua cifra è data dalla contemplazione e, dunque, dal rapporto con il Logos la sua instaurazione denuncia al mondo la forza raggiunta dal mysterion tes anomias.
L’Apostolo ammonisce che il mistero dell’anomia “è già in atto”.
E lo stato di anomia si avvera allorché si è fuori dalla legge ma anche quando il mondo si conforma ad una legge che pretende di essere autoreferenziale, non più esprimendo “i rapporti necessari che derivano dalle cose” della celebre definizione di Montesquieu (Lo spirito delle leggi, Bur).
Il processo di globalizzazione, che connota il nostro tempo, ha la caratteristica di realizzarsi non già portando alla luce l’ordine sotteso alla natura delle cose – che si esprime nella varietà storica delle forme regolatrici della vita, cogliendo dalla loro interazione i principi essenziali su cui costruire l’unità del mondo – ma mediante strumenti di astrazione e standardizzazione che sradicano identità, tempi e luoghi promuovendo una modellizzazione secondo l’ideologia della sovranità del mercato. L’uomo è ridotto a individuo e la convivenza a competizione in una professione di eguaglianza che si risolve nell’indifferenziato regno della quantità.
Così, sorge il dilemma se la concezione che sorregge l’odierno progetto di ristrutturazione delle forme regolatrici dell’esistenza umana sia in grado di garantire il sistema che intende instaurare ovvero se la debolezza del fondamento, la volontà del Potere, non sia in ultimo destinata – dopo aver cancellato i kathecon politici, giuridici, religiosi che ne hanno assicurato la limitazione – a restaurare la condizione originaria dell’homo homini lupus, dissimulata dal dogma formale dei principi di maggioranza ed eguaglianza.
E allora, se “il katechon non può concepirsi che nello spirito nel nomos” (M. Cacciari), il ministero contemplativo del Papa emerito, nella sua radicale innovazione, suona come un radicale appello a ripensare la torre di Babele, a cui attendono i processi di globalizzazione del XXI secolo, e a riprendere quella “sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane [che] è compito di ogni generazione” (Benedetto XVI, Spe salvi).
[antonio maria leozappa – formiche rubrica themis – n. 12/2016]