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Perché gli investitori Usa sono scettici ma fiduciosi su Trump

Pfizer, export, messico, Donald Trump

La scorsa settimana ho avuto l’occasione di incontrare molti investitori americani. La maggior parte ha un’opinione “bull” sulle prospettive economiche del Paese e sul mercato azionario domestico. Un investitore ha usato un’espressione incisiva: “scettici ma fiduciosi”. In altre parole, gli investitori americani sono consapevoli che i rischi politici, specialmente nel primo semestre, sono molto elevati con Trump, e che il Paese è diviso, ma, tuttavia considerano il nuovo presidente Usa “business-friendly”.

Totalmente opposta è, invece, la posizione sull’Europa su cui sono fiduciosi ma scettici: gli investitori d’oltreoceano ritengono che il Vecchio continente sia rischioso nonostante le prospettive economiche solide. Ad esempio, il fatto che la moglie di Fillon sia impiegata come assistente parlamentare e pagata con soldi pubblici (situazione legale ma non positiva per un candidato che promuove valori di integrità) ha suscitato timori sul fatto che la Le Pen possa diventare il prossimo presidente francese. Gli investitori americani sono dell’idea che l’Europa sia interessante, ma per il momento la loro attenzione è focalizzata sugli Stati Uniti e sui Paesi emergenti.

La prima cosa che mi ha sorpreso è l’importanza attribuita dagli investitori americani alla deregulation piuttosto che all’espansione fiscale o ai tagli alle imposte. In Europa, siamo abbastanza scettici sulla politica fiscale di Trump. Per esempio, la riforma sulla tassa societaria è molto complessa, il dibattito sul bilancio non sembra presentare ampi margini di manovra, il piano di Trump sugli investimenti in infrastrutture comporta numerosi rischi sul fronte dell’implementazione e non c’è un consensus unanime tra i Repubblicani sull’aumento del disavanzo fiscale.

In generale, le riforme che hanno delle conseguenze sull’offerta hanno bisogno di tempo per essere attuate.
Gli investitori americani hanno un’opinione diversa. Sanno, per esempio, che è improbabile che la tassa sulle società possa scendere al di sotto del 25%, livello più elevato rispetto al target iniziale di Trump o Ryan, e sono consapevoli che è improbabile che Trump possa mantenere tutte le promesse fatte sul fronte della politica fiscale durante la campagna.

Per il momento gli investitori Usa si stanno focalizzando sulla deregulation che potrebbe rendere le società più aggressive e sostenere la crescita del Pil. Trump è, infatti, visto come un grande negoziatore e un presidente pro-business. Infine, molti investitori ritengono che una grossa riduzione una tantum della tassa sui capitali detenuti all’estero dalle società al fine di favorire il rimpatrio di tali somme negli Stati Uniti, per un anno potrebbe avere un impatto sul mercato azionario Usa maggiore rispetto a quanto stimato attualmente dal consensus. Quindi, le misure fiscali sarebbero una sorta di bonus, ma gli investitori sono “bull” sull’economia e i mercati statunitensi per via del potenziale impatto che potrebbe avere la deregulation.

In conclusione, continuo a ricevere dei pareri scettici sul nostro approccio più prudente sul tema della reflazione e sul rischio di un crollo nel breve termine dei rendimenti Usa a 10 anni. L’indice statunitense Manufacturing ISM dovrebbe registrare un ulteriore rialzo questa settimana, superando quota 55. Ma, a nostro parere, questo potrebbe essere l’ultimo aumento e i leading indicators americani dovrebbero incominciare a stabilizzarsi. Inoltre, la produzione di petrolio e di gas è aumentata del 118,6% Q/Q nell’ultimo trimestre dell’anno, il maggior rialzo dal Q1 2010. Dopo il forte rally dello scorso anno, una ripresa della produzione di petrolio Usa potrebbe porre un tetto al rialzo dei prezzi.



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