Difficile prevedere come andrà a finire lo scontro tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici. Difficile leggere tra le righe della lettera del Ministro Padoan alla Commissione europea. Una lettera più politica che tecnica, dalla quale però emergono alcuni punti fermi. Uno tra tutti è l’imminente aumento delle accise, in particolare sulle sigarette.
Quello del tabacco è un settore delicato, per le molte implicazioni che ha. Ma è soprattutto un settore che necessita di essere governato. Perché mantenere in equilibrio esigenze diverse, tra cui quella di far cassa e quella di tutelare la salute, è un esercizio complicato. L’Italia è, una volta tanto, un unicum virtuoso, come dimostrato da alcuni studi. Oggi il mercato delle sigarette in Italia è in equilibrio: lo Stato incassa 14 miliardi l’anno tra accisa e Iva; i produttori operano in un regime di libera concorrenza; il contrabbando è ai minimi storici; i consumatori meno abbienti vedono non logorato il proprio potere d’acquisto, in un contesto, disegnato qualche giorno fa dall’Eurispes, di progressiva e generalizzata perdita.
Quindi? Quindi, preso atto della volontà del Governo di intervenire, occorre essere chirurgici nell’intervento. Qualsiasi manovra non equilibrata sui tabacchi rischia di far saltare questo mercato.
Un intervento equilibrato significa molte cose: innanzitutto che bisognerà intervenire su tutte le componenti dell’accisa in maniera proporzionale. Quindi che occorrerà guardare alla segmentazione delle fasce di prezzo come un valore economico da non distruggere. Ciò significa tutelare il potere d’acquisto dei consumatori. Infine che occorrerà utilizzare la leva economico-finanziaria (e dunque la complessa tassazione sulle sigarette) come un argine verso il ricorso al mercato nero. Il contrabbando è una minaccia sempre presente, nonostante i dati confortanti.
Un precedente esiste e risale ad appena qualche mese fa. Ad aprile 2016 lo stesso Ministro Padoan ha firmato un decreto con il quale ritoccava le aliquote sui tabacchi in maniera equilibrata per tutte le fasce di prodotto. Oggi, anche a fronte di mutate esigenze di bilancio, con lo Stato che cerca dalle sigarette almeno 150 milioni di euro, l’intensità delle misure potrebbe essere maggiore. Ma il criterio di equilibrio dovrebbe non cambiare.
Si ascolta in giro – secondo alcune indiscrezioni che circolano tra gli addetti ai lavori – la tentazione di penalizzare o punire taluni produttori, soprattutto quelli che vendono a un prezzo più basso. Perché? Se è lecito vendere questi prodotti in Italia e se la legge non solo lo consente ma anzi ne ha espressamente raccolto i benefici (con l’introduzione di un Onere Fiscale Minimo), una manovra del genere sarebbe discriminatoria secondo molti tecnici e porrebbe le basi per un disastro in termini di performance (si legga: di entrate per lo Stato) nel medio-lungo termine, prevedono alcuni economisti.
La libera concorrenza dovrebbe essere un valore tanto quanto la massimizzazione del profitto (per lo Stato). E così come, beninteso, la tutela della salute pubblica. Che però viene invocata a sproposito quando si parla di fiscalità sulle sigarette in Italia. Date per favore un’occhiata alla legge che regola il settore, accise incluse. Non troverete alcun riferimento alla tutela della salute. Perché, nell’epoca della post-verità, una verità va detta: salute e gettito non vanno d’accordo. Se oggi l’obiettivo del Governo è fare cassa, non si può invocare la limitazione dell’accesso ad un prodotto che già paga in media il 77% di tasse. Più il 10% di aggio che va ai tabaccai.
Volete tutelare la salute? Vietate le sigarette. Ma c’è un modo alternativo per tenere in equilibrio tutti questi obiettivi. Governando il settore con lucidità, anche in un momento di forte pressione.