A Ginevra va in scena in questi giorni l’ennesimo tentativo di trovare una soluzione alla crisi siriana, il quarto sotto egida ONU. Ma è una strada in salita. Governo e ribelli sono divisi sul solito punto, il mantenimento al potere del presidente Assad, che per il regime è fuori discussione mentre per le opposizioni in armi la sua uscita è una condizione imprescindibile. Non a caso, le due delegazioni rifiutano di incontrarsi di persona, lasciando all’inviato ONU per la Siria Staffan de Mistura l’ingrato compito di fare esercizio di shuttle diplomacy.
Ginevra IV si celebra mentre la situazione sul campo è estremamente fluida. Rafforzato dal sostegno russo e iraniano, il regime punta a liberare “ogni centimetro quadrato” del Paese. La riconquista di Aleppo lo scorso dicembre ha ringalluzzito Assad, che ora aspira a mantenere il suo posto a tempo indeterminato. I ribelli in ogni caso resistono in altre aree del Paese, insidiate però dalle formazioni jihadiste, che non si fanno scrupolo ad attaccare i ribelli moderati per punirli dei loro tentativi di appeasement e per impossessarsi dei loro arsenali. Non a caso gli Stati Uniti hanno interrotto l’assistenza militare ai ribelli moderati, onde evitare che armamenti sofisticati finiscano nelle mani sbagliate.
La nuova amministrazione americana sta ancora valutando come muoversi in questo campo minato. Non ha rinunciato però al suo obiettivo preminente: la sconfitta dello Stato islamico. Questa settimana scadono i trenta giorni che Trump ha dato al Pentagono per elaborare un piano per la vittoria. Non è ancora chiaro se gli americani faranno affidamento sul loro principale alleato sul terreno, i curdi siriani, assestatisi nel frattempo a pochi chilometri dalla capitale del califfato, Raqqa. La prospettiva di una vittoria curda è però avversata dalla Turchia, che per scongiurarla ha scelto la strada della cooperazione con Russia e Iran. Insieme a questi due, ha persino promosso un processo diplomatico parallelo, con i colloqui di Astana da cui sono rimasti esclusi i curdi. Ma si tratta di un tentativo improbabile, considerata l’avversione delle opposizioni siriane nei confronti di Teheran, le cui mire egemoniche sulla Siria e sull’intero Medio Oriente non sfuggono a nessuno. La strategia iraniana deve però fare i conti con l’ostilità della nuova amministrazione americana, salutata con favore dagli avversari storici di Teheran, Arabia Saudita in primis.
Tutto lascia intendere dunque che la pace sia lungi da venire, nonostante le immani sofferenze del popolo siriano e il quarto tentativo delle Nazioni Unite di venire a capo di una situazione sin troppo problematica. La guerra, in poche parole, continua.