I principali problemi del settore bancario italiano e di quello tedesco sono differenti: gli istituti italiani hanno troppi crediti deteriorati, quelli tedeschi (per metà controllati dal settore pubblico) sono gravati da un’alta esposizione a derivati, titoli tossici e attività finanziarie come quelle legate al business navale. Ci sono discussioni su quali sia il comparto a più alto rischio: ovviamente in Italia si pensa che sia quello tedesco e viceversa. Ma nella rappresentazione fatta negli scorsi giorni dalla Commissione Ue sui due settori finanziari il quadro è netto: i problemi delle banche italiane sono indicati nei dettagli, con analisi e tabelle, mentre i rischi delle banche tedesche sono quasi del tutto ignorati.
Basta confrontare la sezione “financial sector” nei rapporti sui due Paesi pubblicati nei giorni scorsi da Bruxelles. Per gli istituti tedeschi viene indicato che la redditività (tra le più basse in Europa) e l’alto rapporto cost/income (70,4%) “sollevano domande sulla sostenibilità dei modelli di business e segnalano il bisogno di una riduzione dei costi”. Bruxelles osserva perciò che “ulteriori progressi di efficienza e sforzi sul taglio dei costi appaiono necessari per rafforzare la redditività”. Non è una critica da poco, ma di fatto è anche l’unica. In seguito si analizzano solo i pericoli del settore immobiliare, concludendo però che “non costituiscono un rischio per la stabilità finanziaria”. Il rapporto Ue rende noto anche che, secondo un sondaggio, l’87% delle banche tedesche vuole sviluppare attività fintech.
Nessun riferimento invece a derivati e attivi illiquidi (come quelli che hanno portato al fallimento di Lehman Brothers) o alla crisi del settore navale. Eppure nei giorni scorsi anche il Wall Street Journal ha evidenziato che le perdite del business marittimo stanno intaccando i bilanci di Commerzbank, Deutsche Bank, e delle landesbank. La banca più esposta al comparto, Hsh Nordbank, rischia la chiusura perché non trova compratori privati dopo aiuti di Stato per decine di miliardi. E se anche li trovasse, potrebbe in seguito faticare ad accedere ai mercati proprio a causa della perdita della protezione pubblica (come ha osservato Moody’s). Il settore tedesco sarebbe già da tempo collassato senza il sostegno statale: non solo quello diretto attraverso aiuti per 250 miliardi, ma anche quello implicito alla raccolta.
Ma neppure questo tema, che pone problematiche anche in materia di concorrenza, è stato considerato rilevante dalla Commissione Ue. Il rapporto di Bruxelles sul settore italiano è invece molto più preciso e dettagliato: “Il progresso nel ridurre l’abbondante stock di crediti deteriorati è limitato”, “la redditività continua a rimanere bassa”, “il consolidamento procede molto lentamente”, “le banche medio-piccole appaiono più vulnerabili di quelle grandi”. Quanto ai non-performing loans, “il problema è sistemico e pesa sulla ripresa italiana”, “alcuni fattori ancora bloccano lo sviluppo di un mercato secondario per gli asset deteriorati in Italia”, “manca una strategia complessiva per risolvere il problema”. Il tutto corredato con approfondimenti, ribaditi anche nella relazione sul debito (art.126,3).
Si tratta di considerazioni senza dubbio vere, che mostrano con precisione la situazione italiana. Sono elencati gli interventi con i nomi delle banche coinvolte (Mps, le venete, le quattro in risoluzione). Riferimenti specifici invece mancano del tutto nel rapporto sulla Germania (non si parla né di Hsh, né di altre Landesbank in difficoltà, né delle due big). È un bene che le banche italiane siano guardate con attenzione, ma è meno chiaro perché non ci sia stata un’analisi altrettanto puntuale di quelle tedesche. In generale in Europa sembra esser calato il silenzio sui rischi delle attività finanziarie degli istituti (tedeschi e non solo), mentre viene continuamente evidenziato il rischio dei prestiti. Un incentivo a smettere di farli spingendo le banche verso attività più opache, che nel tempo possono rivelarsi più pericolose per il sistema finanziario, oltre che meno utili per l’economia.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)