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Cosa ha detto Nattino al collegio sindacale di Finnat sugli acquisti via Apsa (Vaticano)

Giampietro Nattino, Leonardo Sandri

È un rapporto di lunga data quello intrattenuto da Giampietro Nattino (a sx in foto con il cardinale Agostino Vallini) con il Vaticano. Stando a quanto è annotato nell’incartamento investigativo, il banchiere – socio fondatore e presidente di Banca Finnat – risultava titolare di rapporti con lo Ior e presso l’Apsa sin dagli anni ’70. Conti chiusi definitivamente nel 2011. Oggi Nattino è indagato dalla Procura di Roma per manipolazione del mercato e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Iscritti a registro anche due ex alti funzionari vaticani: Paolo Mennini e Piero Menchini. Secondo l’accusa, Nattino avrebbe manovrato titoli della sua stessa banca allo scopo di “alterarne significativamente il prezzo”. Per farlo avrebbe utilizzato “Rubrica 339”, un conto cifrato di cui era titolare all’Apsa, l’amministrazione che cura i beni temporali della Chiesa. Per quelle operazioni avrebbe omesso di fornire informazioni precise alla Consob. In via cautelare, il gip, Antonella Minunni, ha disposto il sequestro di 2,5 milioni di euro riconducibili al finanziere. Sotto la lente degli investigatori sono finiti movimenti del periodo 2007- 2011.

PER IL GIP, NATTINO “HA CONFESSATO”

A fine 2015 Bankitalia manda gli ispettori a Finnat. Ci resteranno quattro mesi. Dal relativo verbale emerge una dichiarazione di Nattino al Collegio dei sindaci del 4 dicembre 2015. Si è trattato – sostiene – di “normali operazioni di investimento effettuate personalmente e con l’utilizzo di risorse proprie” tramite il conto detenuto presso l’Apsa “per l’acquisto di azioni Finnat e di altri titoli quotati alle normali condizioni di mercato”. Quanto alle transazioni su titoli Banca Finnat, il presidente riferisce “di non avere ritenuto di procedere” alle comunicazioni previste per legge, “in ragione del mancato superamento delle soglie predeterminate dalla normativa e dalle particolari caratteristiche dell’operazione, che veniva effettuata dall’Apsa”. Si annota nel decreto di sequestro firmato dal gip Minunni: “Le dichiarazioni di Nattino” sono “di natura sostanzialmente confessoria”. Un mese prima di quelle parole, il presidente aveva incassato la solidarietà di amministratori e sindaci. Sul finire dell’ispezione della Banca d’Italia (terminata il 16 marzo 2016) i sindaci mandano una comunicazione di irregolarità alla Consob.

SOSPETTI SULLE OPERAZIONI

“Insidiosità” della condotta, utilizzo “di uno schermo di diritto estero quale Apsa”, e la particolare qualità di Nattino, “sostanziale proprietario” di Banca Finnat, nonché “banchiere di lungo corso” – scrive il gip – “convincono non soltanto dell’azione” messa in atto per alterare il prezzo del titolo – “altrimenti una persona esperta quale Nattino non avrebbe di certo agito in siffatto modo” – quanto “della effettiva, quindi concreta possibilità che per effetto della condotta, il titolo (di Finnat, ndr) abbia subito un’alterazione del suo corso in Borsa”. Per il gip Minunni l’operazione va contestualizzata in una fase storica in cui Banca Finnat “ha perseguito una politica di riacquisto di azioni proprie rastrellate direttamente sul mercato telematico”. E se lo scopo perseguito da Nattino – scrive il gip – “è assai ovvio”, “risulta di quantificazione pressoché impossibile il profitto conseguito”. Il gip dispone quindi il sequestro preventivo di 2,5 milioni di euro. Importo che, stando alla ricostruzione della Guardia di finanza, sarebbe stato impiegato per l’acquisto delle azioni Finnat grazie alla mediazione del suo conto Apsa nel periodo 2007-2011. Azioni, per il gip, da lui già possedute. Nattino si sarebbe servito dell’ombrello di Apsa “per celare la sua posizione di effettivo beneficiario delle operazioni di compravendita”.

I MOVIMENTI SUL TITOLO

In pratica, secondo l’accusa, il banchiere avrebbe alterato l’andamento borsistico del titolo, contribuendo “a ridurre ulteriormente la quota di flottante in quel momento disponibile sul mercato”. Le azioni Finnat – ricorda il giudice – sono classificabili sul mercato come “titoli sottili”, strumenti finanziari caratterizzati da ridotti volumi negoziati il cui prezzo di contrattazione è sensibilmente influenzato anche da piccole negoziazioni. Un paio di fotografie: secondo la Finanza, nel 2009 la percentuale del capitale azionario che tiene la partecipazione di controllo – “comprese le azioni proprie detenute dall’Istituto” – è del 76,65. Alla libera contrattazione in Borsa resta il 23,35%. Nel 2010 la percentuale per la contrattazione in Borsa scende al 21,68%. Sono gli anni in cui Nattino opererebbe tramite il conto schermato all’ombra di San Pietro. La sua, sarebbe un’operazione simulata, la definisce il giudice. È il concealing ownership, “celare la proprietà”: “Una condotta – ricorda il gip – che si realizza con la conclusione di operazioni dirette a nascondere quale sia la vera proprietà di uno strumento finanziario tramite la comunicazione al mercato della proprietà di strumenti finanziari a nome di altri soggetti collusi”. In questo caso, la dirigenza Apsa del periodo. E “in violazione delle norme che regolano la trasparenza”. Oltre l’illiceità – si legge ancora nelle carte –, omettendo di comunicare l’esecuzione delle operazioni su titoli della società nella quale Nattino ricopre cariche di vertice, “l’operatività sui titoli è fraudolenta e ingannatoria verso la Consob e la platea degli investitori”.

PRESUNTI PRECEDENTI DI INSIDER TRADING

Dalle 22 pagine del decreto di perquisizione, spunta un altro elemento. Le Fiamme gialle hanno segnalato Nattino anche per presunte condotte di insider trading nel 2000 e nel 2005: si tratterebbe di operazioni di compravendita di azioni della Tecnologia Avanzata di Sistemi e Apulia Prontoprestito. Ancora una volta operando sul mercato borsistico tramite Apsa e – per la Finanza – con abuso di informazioni privilegiate “possedute in ragione delle cariche societarie ricoperte in Banca Finnat”. Per quegli episodi sono spirati i termine di prescrizione.

LA LEGGE ANTIRICICLAGGIO INTERROMPE I RAPPORTI COL VATICANO

L’81enne Nattino è da sempre di casa in Vaticano. Prima di scalare il podio della finanza cattolica romana, a 23 anni era citato nelle pagine dell’Annuario pontificio come addetto all’anticamera del Papa. Oggi quel rapporto sembra essersi incrinato. Almeno sul fronte finanziario. Secondo le indagini condotte dal nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, coordinate dal pm Stefano Rocco Fava, dal conto cifrato “Rubrica 339” aperto Oltretevere, Nattino avrebbe ripetutamente acquistato azioni della Banca Finnat dal luglio 2007 al marzo 2009, per un controvalore pari a un milione e mezzo. Il banchiere avrebbe poi rivendute le azioni da maggio 2009 a marzo 2011. L’operazione di trading si interrompe il 24 marzo 2011 quando l’Apsa, dopo un atto di formale acquisto da parte del banchiere, rimette nella sua disponibilità la provvista azionaria. L’operazione – nota il gip – mirava a “smobilitare” il conto Apsa in vista dell’entrata in vigore, il 1 aprile 2011, della prima legge vaticana antiriciclaggio. Quella voluta fortemente dall’ex presidente Ior, Ettore Gotti Tedeschi.

UNA VIA PER LUGANO

Per questa vicenda, il nome di Nattino finisce nelle pagine delle cronache giudiziarie nel 2013 e nel 2015. La prima volta per le dichiarazioni rese da monsignor Nunzio Scarano, ex contabile Apsa, che, interrogato dal pm, parla di “clienti laici” e “conti cifrati” all’Apsa, e di “operazioni di aggiotaggio” a suo dire riconducibili al banchiere romano. Nel 2015 il Vaticano apre un’indagine nei confronti di Nattino e chiede aiuto alle autorità italiane e svizzere. Già, la Svizzera: perché una volta chiusa “Rubrica 339” (a marzo 2011), 2 milioni di euro sono stati accreditati su un conto acceso presso la Banca Svizzera Italiana di Lugano.

DONAZIONI E SEQUESTRO

Due giorni prima che si concludesse l’attività ispettiva di Bankitalia alla banca di piazza del Gesù (marzo 2016), il banchiere dona il suo pacchetto di azioni Finnat (il 4,5%) a figlio e nipoti. Cede solo la nuda proprietà, riservando per sé – sottolinea il gip – il diritto di usufrutto e l’esercizio esclusivo del corrispondente diritto di voto in assemblea. Tutto – aggiunge il giudice – sembra deporre per una “cessione di comodo”. Non è da escludere una scelta “adottata per sottrarre tali strumenti finanziari a futuri, ed evidentemente ritenuti probabili, provvedimenti giudiziari da parte delle autorità vaticane e italiane”. Ecco quindi che il gip dispone il sequestro preventivo fino a 2,5 milioni di euro, la cifra che secondo l’accusa sarebbe stata utilizzata dal banchiere per le operazioni contestate. Così arrivano i sigilli a due immobili a Roma e ad un’auto Toyota. Inoltre, blocco del saldo del conto acceso a Lugano. Sequestrate anche alcune quote di terreni e le partecipazioni azionarie donate in nuda proprietà nel 2016.


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