Skip to main content

Papa Francesco tra pace e guerre

“Pace in nome di Dio”: è il titolo del libro del Vaticanista di Tv2000 Paolo Fucili, presentato all’Istituto Tevere di Roma, in cui il tentativo è di mettere in fila tutti gli eventi che hanno portato all’anniversario trentennale di preghiera per la pace di Assisi (qui l’articolo di Formiche.net), grazie anche all’impegno annuale della Comunità di Sant’Egidio, partendo dal primo incontro organizzato da Giovanni Paolo II nella cittadina umbra nell’86.

LE RELAZIONI INTERNAZIONALI IN NOME DI DIO
“Nelle relazioni internazionali il nome di Dio viene sempre lasciato fuori, ma nelle nazioni come il Pakistan, da cui provengo, Dio viene prima dello Stato” dice il giornalista Ejaz Ahmad, rappresentante del Centro islamico culturale d’Italia: “È vero che esisteva già l’Onu, ma il Papa aveva ben visto che non si trattava solo di una questione etnica e di territorio…. ma che c’era di mezzo anche la religione. E vediamo ai giorni nostri come è tutta una guerra di religione”. Parole che farebbero saltare dalla sedia chi queste tesi le sostiene per invitare allo scontro di religione, per esempio alla maniera di Donald Trump, se non fosse che lo stesso Ahmad ne parla proprio per lodare l’intuizione “profetica” di Giovanni Paolo II: “L’islam è una religione orizzontale, e quindi non ha un Papa, ma vedere questa figura che ha aiutato l’islam, senza se e senza ma, è stato per noi una cosa molto bella”.

“IN PAKISTAN DI TERRORISMO SI MUORE, MA IL PAPA DICE CHE LA PACE NON HA FRONTIERE”, DICE IL PAKISTANO AHMAD
Aiutare, perché “in Pakistan abbiamo tanti problemi legati alla religione, e i cittadini pakistani muoiono a causa del terrorismo. Ma il Papa diceva che la pace non ha frontiere, e questo per me è molto importante, perché già allora c’erano molte leggi fatte solo per alcuni paesi”. Leggi sanzionanti reati di tipo religioso, ma che variano all’interno dei singoli Stati. “La cosa per me più assurda nel vedere i grandi leader religiosi sedersi assieme era che si salutavano tra loro”. Che è ciò che in fondo fa lo Spirito di Assisi, dice il Presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo (nella foto): “evitare che i leader religiosi si isolino. Una delle conseguenze della globalizzazione è il chiudersi in piccoli mondi: c’è chi pensa ad alzare muri, e quindi all’isolazionismo, per la paura di un mondo troppo grande e vasto che non si riesce a dominare e capire”. Ma, al contrario, “avere leader musulmani che lavorano per la pace è fondamentale per i loro fedeli che vivono in Italia” continua Impagliazzo. “Per questo bisognava liberare le religioni dallo scontro che ne limita la conoscenza. Ed è un discorso che vale per il futuro”.

“LA GIORNATA DI ASSISI È STATA UN PO’ COME LA SCOPERTA DEL FUOCO” DICE L’AUTORE DEL LIBRO
“Lo spirito profetico è veramente questo, aver chiara una situazione e delle possibili soluzioni di problemi che magari ancora non ci sono” afferma la giornalista dell’Osservatore Romano Silvia Guidi. “La storia ha un progresso fatto anche di scoperte e intuizioni fulminanti. Dovessimo fare una storia dei progressi morali probabilmente la giornata di Assisi sarebbe equiparabile alla scoperta della ruota o del fuoco” afferma l’autore del libro Paolo Fucili. Così, “con Giovanni Paolo II abbiamo conosciuto l’audacia del gesto”. Oggi però “c’è il pregiudizio nei confronti della cosiddetta ‘marmellata di religioni’, e ci sono settori del tradizionalismo cattolico che non lo digeriscono. Ma Wojtyla non ha fatto nessuna concessione al relativismo”. Poi Benedetto XVI ha dato il suo “grande contributo” nel sostenere che “le religioni sono sempre chiamate a purificarsi, anche oggi, tramite lo strumento della ragione”: “da certi fideismi, pulsioni irrazionali, o da una certa tendenza al fondamentalismo”. Per “capire che bisogna mettersi in discussione, anche per non dare argomenti a chi dice che nella storia le religioni hanno sempre suscitato conflittualità”. Infine Francesco, “che sul piano del dialogo interreligioso ci sta dando una grande lezione. È un Papa che la gente percepisce come molto vicino al proprio vissuto, alle tematiche quotidiane. Ci ricorda che la realtà dobbiamo guardarla con gli occhi dei semplici, degli ultimi, di chi non ha voce”.



×

Iscriviti alla newsletter