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Papa Francesco, come si muove il Vaticano nel continente latinoamericano

Di Carlo Marroni

C’è un nuovo vento che spira forte sopra il continente latinoamericano. E arriva da Roma. Ogni parola o gesto che papa Francesco rivolge alla sua immensa e tormentata terra d’origine è destinato a trasformarsi in qualcosa di dirompente e imponderabile. Jorge Mario Bergoglio, che ha superato di slancio la soglia degli ottant’anni senza mostrare di voler rallentare sulla strada della conversione pastorale della Chiesa del terzo millennio, ha nella sua agenda anche uno straordinario programma di politica internazionale giocato senza i tradizionali strumenti della geopolitica. Non ci sono alleati momentanei e funzionali a obiettivi strategici, ma si gioca a tutto campo, senza lasciare indietro nulla di quello che il Vangelo mette davanti. E questo in America Latina vale più che altrove.

Il continente vive una stagione molto complessa di transizione e certamente la figura di Bergoglio ha un peso decisivo che non lascia dubbi su come la diplomazia della Santa sede sia un attore di primo piano (vale anche in Cina, ma questa è un’altra storia). A Cuba, la morte di Fidel Castro con ogni probabilità accelererà un processo di apertura in atto da anni dentro l’isola caraibica, che l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ostacolerà, presumibilmente solo temporaneamente. L’embargo è ancora in vigore, ma certamente il riavvio delle relazioni diplomatiche tra Washington e L’Avana – voluto da Barack Obama e Raúl Castro – rappresenta un cambio di pagina della storia, che dispiegherà i suoi effetti nel tempo.

È nota l’azione diplomatica di Francesco che ha propiziato questo dialogo attraverso il suo segretario di Stato Pietro Parolin e l’ormai arcivescovo emerito della capitale, il cardinale Ortega, figura centrale per l’elezione di Francesco al soglio pontificio. In questo scacchiere, il Vaticano ha giocato un’altra partita delicata, andata a buon fine: l’incontro del papa con il patriarca ortodosso della Russia, Kirill, avvenuto proprio all’aeroporto de L’Avana. Un summit propiziato anche da Castro, che ha rotto un altro muro che pareva invalicabile. Perché in un Paese latino-americano? Perché è lontano dalle terre di scontro tra cristiani – e quasi tutta l’Europa lo è stata – e vicino sia al cuore del papa sia del mondo russo ex-sovietico che esprime il patriarca. A Cuba erano andati sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI, ma è stato con Francesco che la Chiesa è tornata a giocare da protagonista aperta, e non da segreta alleata, del potere politico, non sempre eletto democraticamente.

In Venezuela si gioca la partita più complessa del continente. Dopo la morte di Hugo Chávez nel 2013, il Paese è piombato nel caos, processo accelerato dal crollo del prezzo del petrolio, unico reale sostentamento alla già fragile economia. Il durissimo scontro relativo al governo Maduro è in uno stallo infinito e amplifica il dramma delle violenze quotidiane in un Paese che, in buona parte, soffre la fame. In questo quadro da tempo si è inserita la posizione del Vaticano, sollecitato a una presa di posizione di mediazione tra le parti: in particolare questa richiesta è venuta anche per la conoscenza del Venezuela da parte del segretario di Stato Parolin, che a Caracas è stato quattro anni in funzione di nunzio apostolico. Ed è stato proprio lui, di recente, a scrivere una lunga lettera indirizzata a governo, opposizioni e mediatori in cui si mettono in fila le esigenze del dialogo e del rispetto dei diritti: ma la forza della missiva, redatta e inviata per conto del Santo padre, sta proprio nel suo carisma pontificio.

Naturalmente non tutti sono d’accordo con questa iniziativa, tanto che si è registrato un volgare attacco al cardinale Parolin da parte del deputato, primo vice presidente del partito chavista, Diosdado Cabello; attacco al quale si sono aggiunte alcune prese di posizione critiche dello stesso Maduro, ricevuto dal pontefice a ottobre. Il 6 dicembre, alla fine, l’inviato del papa monsignor Claudio Maria Celli e i mediatori dell’Unisur, sono riusciti a fissare una nuova data per il terzo incontro: 13 gennaio 2017. Da qui ad allora la diplomazia pontificia conta di agevolare un dialogo davvero costruttivo. In Colombia lo storico accordo tra il governo del coraggioso presidente Juan Manuel Santos Calderón, che per questo ha ricevuto il Nobel per la pace, e i terroristi delle Farc non ha superato il voto del referendum di ratifica popolare, battuto il 4 ottobre per un pugno di voti.

Quella che è stata definita la Brexit colombiana – il no è stato appoggiato dall’ex presidente Uribe e dalle chiese evangeliche – rischia di avere strascichi lunghi, ma difficilmente si tornerà indietro. Infatti, il testo è stato emendato e poi approvato dal parlamento. La Chiesa cattolica ha appoggiato il negoziato tra le parti, e anche il Vaticano è stato più che spettatore interessato alla conclusione del negoziato. La Colombia sta vivendo una nuova stagione di grande rinascita nazionale, dopo l’abbattimento dello strapotere dei cartelli della droga, spostatisi in Messico. A Bogotà ha sede il Celam – la potente e sconfinata conferenza episcopale latinoamericana, che è nel cuore di Bergoglio, in particolare dalla storica conferenza di Aparecida del 2007 – e il Vaticano ha una sua constituency forte sul processo nazionale di pacificazione. Francesco – che a dicembre ha ricevuto Santos – aveva promesso di andare in Colombia nel 2017 se l’intesa fosse stata blindata da tutti i passaggi sia elettorali sia legislativi.

Ora questo pellegrinaggio rischia di essere rinviato. Ma il papa non è nuovo a sorprese. Sullo sfondo ci sono altri dossier latinoamericani importanti, in parte già affrontati e in parte ancora sul tavolo. In Messico il papa si è recato a febbraio 2016: forte è stata la sua strigliata a un episcopato ancora troppo legato al potere e poco vicino alla gente, specie quella che soffre il regime dei cartelli della droga, che controllano una buona parte del territorio del Paese e che cercano di superare il con ne nord verso gli Stati Uniti. Infine il fascicolo Cile-Bolivia: i due Paesi sono in forte contenzioso legale per la ultracentenaria richiesta di Bogotà di accesso territoriale al mare nella fascia costiera settentrionale cilena: Santiago ha il nervo scoperto su questo tema, specie dopo che il papa, nel suo viaggio in America del Sud nel 2015, mostrò un certo interesse per il tema.

(Articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Formiche)


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