Pierluigi Bersani se ne va dal Pd a trazione renziana e si porta dietro l’ormai celebre “tortello magico”. Niente a che vedere con le solitarie dipartite di deputati, come accaduto con Stefano Fassina o Alfredo D’Attorre. E nemmeno con strappi clamorosi e dolorosi come quello di Sergio Cofferati dopo le primarie in Liguria. No, questa volta è un intero gruppo dirigente che abbandona la nave democratica per approdare non si sa bene dove. Un gruppo dirigente che incarna l’essenza del buongoverno post-comunista nella rossa Emilia-Romagna, che rappresenta l’emblema del potere Pci-Pds-Ds-Pd nella terra dove spopolano le cooperative, che ha espresso i massimi sacerdoti di quella affiliazione al partito trasformatasi per molti vecchi “compagni” in una vera e propria fede religiosa. Bersani se ne va dal Pd, e con lui lo zoccolo duro della Ditta.
ERRANI, FIAMMENGHI E MIGLIAVACCA
Lungo la direttrice Ravenna-Bologna la notizia che Vasco Errani fosse pronto a seguire Bersani fuori dal partitone della sinistra è stata vissuto sin da subito come un trauma. E ieri, quando l’ex governatore l’ha confermata nel suo circolo ravennate davanti a 200 persone (un modo per rispettare le liturgie di partito anche nel momento della scissione), non sono mancate le lacrime. “Si tratta di un dolore vero” ha confidato nei giorni scorsi al Corriere Romagna la segretaria dem ravennate Eleonora Proni. Quello che sta andando in scena in questi giorni nei luoghi del “tortello magico” (copyright Mario Adinolfi) è uno psicodramma che mette la parola fine a una storia decennale, che ha coinvolto le istituzioni come le famiglie e le imprese, con una penetrazione del partito nella società civile che aveva raggiunto livelli inauditi. Sì, perché dire Pds-Ds-Pd in Emilia-Romagna fino a qualche anno fa, fino a che non arrivasse Matteo Renzi, significava dire innanzitutto Bersani ed Errani. “Sì, se le cose non cambiano vado via. E sabato pomeriggio spiegherò perché a Ravenna, nella mia sezione, com’è giusto che sia” aveva detto l’ex governatore a Giovanni Egidio, capo della redazione bolognese di Repubblica che mercoledì ha riportato queste parole sul suo quotidiano, prontamente riprese da tutti i media. “Non ci sono più le condizioni, vado a cercarle altre, ci vorrà un po’ di tempo ma ci arriveremo” era la chiosa. “Ho riconosciuto la leadership di Renzi e ho lavorato per la sintesi – ha detto ieri Errani -. Non ho mai chiesto che Renzi non si candidasse ma non mi convince una democrazia fatta solo dal popolo e dal leader”. E ancora: “Da fuori il Pd è percepito come parte dell’establishment, il problema è chi rappresentiamo, occorre radicali”. Quindi l’annuncio di uscita, senza però nominare la nuova creatura Democratici e Progressisti di Roberto Speranza ed Enrico Rossi: “Vado dentro a una nuova avventura. Sono sicuro che non si tratta di un addio ma di un contributo per ritrovarci in un progetto diverso dall’Ulivo e dal Pd ma con quell’ispirazione”.
Se ne va Errani, dunque, si squarcia il partitone rosso nella sua roccaforte, ma non si sfalda il “tortello magico”. A ruota lo seguiranno l’ex consigliere regionale di Cervia Miro Fiammenghi, amico di vecchia data e fedelissimo della coppia Bersani-Errani, presente anche lui ieri al circolo Strocchi di Ravenna, e il senatore piacentino Maurizio Migliavacca, al quale l’ex segretario aveva affidato le redini organizzative del partito.
COSA SUCCEDE NEL PD IN EMILIA-ROMAGNA
Resta invece al suo posto, seppure in posizione critica verso Renzi, il giovane sindaco di Ravenna Michele De Pascale, allevato politicamente proprio da Fiammenghi poi affrancatosi per mettersi sotto l’ala protettrice del governatore Stefano Bonaccini; altro ex bersaniano che rimarrà con Renzi. Anche uno storico esponente ravennate un tempo bersaniano come l’ex segretario provinciale e deputato Alberto Pagani non aderirà alla scissione, così come l’ex sindaco Fabrizio Matteucci (ora direttore Anci ER). Ancora indeciso il suo predecessore e già senatore Vidmer Mercatali, presente ieri in platea ad ascoltare Errani e molto tentato dal seguirlo fuori dal Pd. Stesso dicasi per il giovane deputato cesenate Enzo Lattuca, tentato dalla scissione data la vicinanza a Bersani ed Errani ma ancora rimasto nel limbo. Infine ci sono i sindaci di Imola e Modena, Daniele Manca e Gian Carlo Muzzarreli, cresciuti a pane partito e decisi a non mollare queste origini, con il secondo che nei giorni scorsi ha avuto un acceso colloquio telefonico con l’ex governatore.
BONACCINI SERRA I RANGHI, LA NIPOTE DI PRODI MOLLA
A serrare i ranghi in Emilia ci ha pensato un ex bersaniano doc come il presidente Bonaccini, successore di Errani alla guida della Regione e già segretario regionale. “Davvero non riesco a capacitarmi di come sia possibile separarsi prima ancora di avere affrontato nodi programmatici, come avviene normalmente in un congresso” ha detto il governatore al Corriere di Bologna che è tornato a ribadire gli stessi concetti a Otto e Mezzo su La7. “Le ragioni che portarono alla nascita del Pd – ha aggiunto – sono ancora attuali, guai immaginassimo il ritorno alle vecchie famiglie di origine. Io mi definisco di sinistra e la mia casa è e sarà il Partito democratico”. E alla domanda su cosa farà al prossimo congresso, non ha avuto dubbi: “Sosterrò di nuovo Matteo Renzi e gli chiederò di correggere due cose: maggiore cura al partito e costruzione di un gruppo dirigente più autorevole, così come di aprire una nuova fase nel rapporto col Paese”.
Di tutt’altro avviso la consigliera regionale del Pd Silvia Prodi, nipote dell’ex premier, già vicina a Pippo Civati, presente due settimane fa al raduno della minoranza dem al Teatro Vittoria di Roma e tra le più attive in regione nella campagna per il No al referendum. Lei, come l’assessore al Comune di Reggio Emilia Mirko Tutino, risulta tra i fondatori dell’associazione Democraticisocialisti del governatore toscano Rossi che guida la scissione.
LA TERZA VIA DI MEROLA
Chiude il cerchio la terza via che si imbocca sempre lungo la via Emilia. Ed è quella vagheggiata dal sindaco di Bologna Virginio Merola, renziano della seconda ora con molti mal di pancia nell’ultimo anno verso l’ex premier, avvicinatosi a Giuliano Pisapia che ha scelto proprio le Due Torri per lanciare il suo Campo Progressista a dicembre. In un libro-intervista curato dal giornalista Aldo Balzanelli che lo ha visto coinvolto con il deputato cuperliano Andrea De Maria, Merola così si esprime: “O il Pd si concentra sulla sua cultura popolare condivisa, oppure il Pd è destinato a perdere. Se alla fine di questa avventura ci saranno due partiti, io non aderirò né all’uno, né all’altro”. In realtà, il primo cittadino ha cercato di correre ai ripari spiegando che non ha intenzione di andarsene dal partito – come aveva detto nelle settimane scorse bacchettando la minoranza – e dicendosi contrario a una riedizione in stile Ds e Margherita. Ma in ogni caso, quelle parole rimangono messe nero su bianco.