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Perché il surplus dell’export ora fa interrogare anche la Germania

C’è record e record, e non ogni record è necessariamente motivo di festa. Questo stanno imparando i tedeschi. Stando ai dati comunicati ieri all’Ufficio federale di statistica, la Germania nel 2016 ha di nuovo esportato più di quanto non abbia importato. L’export tedesco è cresciuto dell’1,2 per cento attestandosi a un valore complessivo di 1,2 bilioni di euro e realizzando un surplus di 250 miliardi di euro. Ma c’è poco da essere contenti, almeno così scrivono molti mass media. La Süddeutsche Zeitung titolava ieri: “Un record mondiale che diventa una questione politica”, mentre sul giornale economico Handelsblatt si leggeva: “Quando la forza si trasforma in debolezza”.

Il risultato rischia infatti di portate nuove bordate contro la Germania da parte della nuova amministrazione americana. Le accuse rivolte dal capo del Consiglio per il commercio Usa Peter Navarro a Berlino, e cioè di manipolare l’euro a suo uso e consumo, si sono impresse nella testa dei tedeschi e condizioneranno strategie e decisioni nel corso dei prossimi quattro anni. Come anche le interviste rilasciate lasciano presagire, la Germania rischia di diventare insieme alla Cina e al Messico il terzo bersaglio della politica commerciale di Donald Trump, avverte Marcel Fratzscher, direttore dell’Istituto di ricerca economica DIW. E numeri come quelli ora resi noti dalla Statistica Federale potrebbero indurre l’amministrazione americana a ricorrere a dazi con intento penalizzante. Certo, fa notare l’esperto, la crescita costante dell’export tedesco testimonia la qualità del prodotto made in Germany, e di questo non si può fare una colpa al paese; dall’altra, fa però notare Fratzscher alla SDZ. “le imprese tedesche investono troppo poco e questo mette a rischio il nostro benessere, tiene bassi i salari e alla lunga rischia di nuocere in primo luogo alle imprese di media dimensione”.

Anche l’editorialista Nikolaus Piper, sempre dalle colonne della SDZ, sottolinea la curiosa reazione ai dati commerciali. Si ha l’impressione che i più vorrebbero si parlasse d’altro. E non solo per timori di nuove invettive (e forse non solo) provenienti da oltreoceano. Perché l’amministrazione Trump non è la prima a criticare apertamente l’eccesso di esportazione tedeschi a “danno” di altri Paesi. Da anni anche Paesi del Vecchio continente lamentano lo strapotere tedesco, lamentano un modello di crescita economica basato principalmente sulle esportazioni anziché sostenere e incentivare anche la crescita del mercato e dei consumi interni. A guidare (idealmente) questo gruppo di critici è arrivato ora il capo di Stato americano. E con lui “contro” Berlino rischia molto di più, soprattutto in considerazione del fatto che Trump è intenzionato a far seguire alle sue promesse di America First, anche almeno alcuni fatti. Il che, secondo Piper vuol dire, anche una possibile guerra commerciale. Detto questo, prosegue il commentatore, le critiche sono giustificate solo fino a un certo punto, perché se è vero che la bilancia commerciale è ancora molto sbilanciata sull’export, bisogna anche conto che sono aumentate, seppur in misura minore, altresì le importazioni dello 0,6 per cento, raggiungendo un valore totale di 954,6 milioni di euro. Un aumento che riguarda in particolare quelle provenienti da altri Paesi dell’Ue.

Resta ciò nonostante una crescita troppo debole, motivo per cui, come spiega il Handelsblatt usando come paragone un fisico muscoloso, la forza commerciale tedesca rischia di trasformarsi in debolezza. “E il problema non è l’export che al pari di muscoli allenati non costituiscono un problema. Quello che non si considera sufficientemente è il fatto che, con un export così forte vengono esportati anche capitali, cioè mezzi che poi rischiano di mancare per investimenti in Germania. Se lo Stato avesse investito negli ultimi tre anni di più nelle infrastrutture del paese, questo avrebbe dato una spinta anche agli investimenti privati e lo sbilanciamento si sarebbe ridotto”. Con questo, il quotidiano economico, non vuole perorare la causa della mano pubblica che tutto aggiusta e tutto regola. Se si vuol far crescere le importazioni allora è necessario far crescere i salari e ancora di più di quanto non siano cresciuti negli ultimi due anni. “Il che ovviamente potrebbe finire per ridurre la competitività del made in Germany. Per quanto, non subito”. Detto tutto ciò, conclude però il Handelsblatt, la Germania certo non si deve vergognare per il suo surplus. Perché a conti fatti ci sono anche molti fattori esterni che vi contribuiscono e sui quali né la politica, né gli imprenditori hanno il potere di intervenire. Tra questi ci sono in primo luogo “i prezzi estremamente bassi del greggio, la debolezza dell’euro al cambio con il dollaro e i tassi bassi”.

Insomma, secondo il Handelsblatt, la Germania attualmente approfitterebbe di un programma congiunturale di cui non avrebbe bisogno. Un programma che in compenso ha dato una mano agli altri paesi dell’eurozona più deboli e che permette loro, dopo sette anni dall’inizio della crisi, a poter sperare di nuovo in una crescita.


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