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Giancarlo Perego, chi è il monsignore nominato al posto di Luigi Negri a Ferrara

Pensionato in un batticiglio. Luigi Negri fa le valigie e lascia la cattedra di arcivescovo di Ferrara. Aveva compiuto i 75 anni appena il 26 novembre. L’età canonica per presentare le dimissioni al Papa. A volte capita che da Roma concedano una proroga. È successo persino con il dissidente Carlo Caffarra, pregato dal Papa di rimanere a Bologna due anni oltre la fine del mandato. Altre volte no. Sull’eccellenza milanese non c’è stato tanto da questionare. Al suo posto arriva il cremonese monsignor Giancarlo Perego. A conclusione di un quadriennio discusso, in cui il figlio di don Luigi Giussani si è sempre battuto in prima linea. Frequentemente descritto non in sintonia con le trincee della Chiesa attuale.

VINCE LA SCUOLA DI BOLOGNA

La nomina di Perego sembra molto in linea con il sentire di maggioranza dell’episcopato emiliano. A caldeggiarne la promozione, secondo il vaticanista Sandro Magister, il segretario della Cei (e di fatto uomo del Papa alla Conferenza episcopale italiana), Nunzio Galantino. Non da meno una certa influenza deve averla avuta l’ex direttore della Caritas di Bologna, Giovanni Nicolini. Quest’ultimo si ispira a don Giuseppe Dossetti. Nuovo contrappasso per il ciellino Negri. Non è molto importato ai giornali dell’esattezza delle sue parole intercettate sul Frecciarossa. Quanto riportato è comunque entrato nella letteratura ecclesiale. E su quel treno il numero due di Giussani nei suoi anni milanesi, di Dossetti diceva che ha distrutto la Chiesa italiana. Abbastanza per inserirlo nella lista di proscrizione degli ambienti ecclesiali più progressisti.

IL PRETE VICINO AI MIGRANTI

Perego insiste molto sui temi sociali. Come presidente della Fondazione Migrantes si è espresso, tra l’altro, per l’allargamento del diritto di cittadinanza agli immigrati. Stando alle premesse, dovrebbe incontrare un terreno meno ostile del predecessore. Il successore di Negri, monsignor Perego, è direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana che si occupa di immigrati, rifugiati e profughi. Una scelta che più dell’accettazione lampo delle dimissioni del monsignore ambrosiano per raggiunti limiti di età, sa di intento preciso: voltare pagina sull’episcopato dell’arcivescovo militante. Intervistato da Panorama l’ex professore della Cattolica disse tutta la sua irritazione verso chi si arroga il diritto di stabilire gerarchie e contrapposizioni nel clero e nell’episcopato: “È offensivo e vergognoso affermare che alcuni preti sono ‘di strada’ mentre altri vivono comodamente nelle parrocchie o che alcuni vescovi hanno ‘l’odore delle pecore’ mentre altri stanno rinchiusi nei loro palazzi. Ho visto decine di sacerdoti spendersi con zelo in comunità sperdute. Carpegna o Novafeltria non sono meno periferia del mondo di Buenos Aires, di Berlino o di Milano. Anzi, le considero trincee”.

PORTA ROMANA BELLA

Negri nasce a Milano il 26 novembre del 1941. Parrocchia di Sant’Andrea, un tiro di schioppo da corso Lodi. Famiglia semplice, frequenta il liceo classico Berchet, quello dove insegnava Luigi Giussani. Da allievo ne diventa uno dei più stretti collaboratori: condivide l’avventura di Gioventù studentesca e di Comunione e liberazione. Entra in seminario, dal 1972 è all’Università Cattolica, dove fino all’episcopato tiene la cattedra di Introduzione alla teologia e di Storia della filosofia. Ci rimane fino al 2005, quando Giovanni Paolo II, negli ultimi giorni di vita, lo nomina vescovo di San Marino.

UNA SCELTA TARGATA RATZINGER E RUINI

La consacrazione di Negri aveva tutta l’aria di essere stata appoggiata dall’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della fede, Joseph Ratzinger e dal (fu) influente cardinale Camillo Ruini. Ratzinger, da Papa, nel 2012, promuove Negri ad arcivescovo di Ferrara e abate di Pomposa. Non è la prima nomina di un uomo di cielle di Papa Benedetto in Emilia Romagna. Sempre nel 2012 Ratzinger manda vescovo a Reggio Emilia un altro allievo di Giussani, Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità sacerdotale dei preti missionari di Cl. E si deve a Ratzinger la berretta cardinalizia imposta all’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra. Non immediatamente identificabile in Cl, ma molto amato, ai tempi, dagli ambienti ciellini. A leggere l’attuale geografia dei vescovi della regione di Guareschi, oggi tutto è cambiato.

IL MAESTRO E MARGHERITA

In quattro anni a Ferrara, il professor Negri ne ha viste parecchie. Entrò in città a inizio 2013 con un avvertimento: in zona sono attive almeno tre sette sataniche, tutte molto legate ad ambienti giovanili. Non era una novità: in passato erano stati chiamati gli esperti del Gris a indagare il fenomeno. Il nuovo vescovo fu subito preso storto. Da arcivescovo ha dovuto registrare suo malgrado che qualche giro strano nella sua diocesi si muove. Nel gennaio 2016 a Lido di Volano è comparso un altare improvvisato, teatro di un rito macabro con il campionario più becero dei particolari dell’occulto. Tra le valli e la città degli Estensi tutti sanno di luoghi dove avvengono strani riti. Non sono mancati i furti di ostie consacrate. Di ladri che hanno lasciato preziosi arredi sacri e si sono diretti esclusivamente al tabernacolo. È successo nel 2014 e, appena poche settimane fa, nella chiesa cittadina di Santa Chiara. Ne diede notizia lo stesso arcivescovo con “animo tribolato”. Nel 2015 comparvero delle scritte sataniche sul duomo. Del chiasso notturno e di ciondolare apatico di ragazzini un po’ alticci intorno alla sua cattedrale, Negri ne aveva detto in più occasioni, trascinandosi dietro le ire dei salotti della città: “Ponevo un problema educativo richiamando gli adulti di Ferrara, gli insegnanti e i genitori a considerare che lasciare i giovani a questa deriva di tipo consumistico e istintivo avrebbe favorito il formarsi di una generazione di persone fragili da tutti i punti di vista. Hanno preferito trattarmi da povero bigotto piuttosto che interrogarsi e rispondere al mio richiamo, che non era certo contro i giovani”.

CL SBOLOGNA IL MONSIGNORE

Nel 2015 Negri finì origliato mentre tornava da Roma seduto in un vagone del Frecciarossa. Secondo quanto riportò il Fatto Quotidiano, stava criticando a voce alta, parlando col segretario, le ultime nomine episcopali di Bergoglio: monsignor Matteo Maria Zuppi a Bologna e don Corrado Lorefice a Palermo. Al netto delle smentite dell’interessato, gli arrivò addosso una doccia gelata. Senza tanti complimenti Comunione e liberazione si affrettò a dichiarare a mezzo stampa che il monsignore non ricopriva più alcun ruolo di responsabilità nel movimento dal 2005. “Fra il dovere di amicizia e il piacere ai potenti, i responsabili nazionali hanno preferito la seconda senza dare mai giustificazioni”, osservò amareggiato un anno dopo. Anche dal Meeting è (quasi) scomparso: alla kermesse ciellina di Rimini negli ultimi due anni si è fatto vedere, anche tenendo incontri. Ma solo con gruppi ristretti e senza rientrare nel calendario ufficiale dei relatori. Lui, che in tutte le edizioni precedenti, come relatore ufficiale era stato invitato a ben 85 incontri. Negri fu contestato quasi quotidianamente dalla stampa locale. Dopo l’episodio del Frecciarossa il direttore della Nuova Ferrara gli scrisse una lettera aperta per chiedergli se non ritenesse opportuno un prepensionamento. Un gruppetto di fedeli firmarono una petizione al Papa per pregarlo di rimuoverlo. Appena 300 firme, ma pesanti, nel giudizio verso un vescovo ritenuto “divisivo”.

LE ULTIME SFIDE

Celebra anche in latino, Negri. Carattere tosto, che a volte può apparire ruvido, non ha paura del politicamente scorretto inserendosi nel dibattito pubblico. Nel quale, ritiene, la Chiesa non può non fare sentire la sua voce. E soprattutto ha vissuto la sua trincea. Stando solo alla cronaca recente, almeno due episodi hanno scosso la diocesi ferrarese. Le barricate alzate a Gorino per respingere l’arrivo di alcune donne richiedenti asilo. Negri definì l’episodio qualcosa che “ripugna la coscienza”, andando poi a trovarne alcune per esprimere la vicinanza del pastore e della diocesi. Sfida ben più impegnativa quella recentissima: cercare di ricostruire una comunità attonita dopo il massacro di Pontelangorino, dove un 17enne ha ucciso con un’ascia i genitori dell’amico 16enne che gli aveva chiesto di aiutarlo.

LA DOTTRINA NON È UN ORNAMENTO

Nel dibattito intorno ad Amoris laetitia è tra i vescovi che negano che il Papa abbia aperto la comunione ai divorziati risposati. In un primo bilancio del suo ministero affidato ad una intervista al Resto del Carlino nel maggio scorso, non ha risparmiato critiche a una certa idea di Chiesa. “Anziché agire sull’impegno della ripresa di identità – diceva -, la Chiesa di oggi si sta riposando su se stessa assumendo atteggiamenti di carattere sociale e assistenziale come se, cessato di contestare la cultura di questo mondo, laicista e anticattolica, dovesse ridursi a doverla assecondare”. Alla domanda su chi siano i responsabili di questa situazione, rispondeva: “Oggi per me c’è un po’ di confusione. Questa disistima per la dottrina, questo tentativo di pastorale che finisce con l’essere azione accettata e giustificata dal mondo rischia di trasformare la Chiesa in una onlus”. Avvertiva: “L’insistenza sulle conseguenze etico sociali della fede, che sono il merito del magistero dell’attuale pontefice, una volta che fossero lette non in continuità con l’identità, finiscono per essere vissute in maniera negativa”. E poi la frase clou: “La premessa delle premesse non è che ci sono i poveri e che bisogna aiutarli, che pure va bene, ma che il Verbo di Dio si è incarnato, ha salvato il mondo e abita presso di noi”.


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