L’Europa “malgrado tutte le difficoltà” è “la nostra strada maestra”, e per questo è necessario “completare il percorso intrapreso 60 anni fa”: così il neopresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, in un intervento rilasciato all’Istituto Luigi Sturzo di Roma in occasione della presentazione del volume curato dall’economista Mario Baldassarri “Le radici europee della crisi europea, le radici italiane della crisi italiana” (Rubbettino), delinea i punti del suo quadro politico. Ma come avallare il progetto, ci si chiede, peraltro non semplice? Rimettendo al centro “l’attenzione per l’economia reale e le imprese”, ha affermato Tajani nella lettera: “Ci vuole più Europa”, perché gli interessi dei singoli Stati europei “li abbiamo sempre difesi meglio stando insieme”, facendo cioè “sistema a livello continentale” e “tutelando il nostro modello economico”, “l’unico che si fonda sull’economia sociale di mercato”. E l’idea di tornare dentro i confini nazionali “non è praticabile”.
DIPLOMAZIA ECONOMICA, ACCESSO AL CREDITO E MENO BUROCRAZIA: COSÌ TAJANI VUOLE AVVICINARE EUROPA E IMPRESE
Il punto centrale quindi è “avvicinare l’Europa alle imprese” con “investimenti” volti alla “reindustrializzazione”, puntando sulla “diplomazia economica”(l’Europa, dice Tajani, deve “essere più assertiva sul piano globale confrontandosi con la concorrenza cinese e asiatica”, ed è per questo che l’Europarlamento “si è opposto al prematuro riconoscimento della Cina come economia di mercato”), l’accesso al credito (non è la liquidità a mancare, “ma la capacità di finanziare il rischio d’impresa”, come per gli Stati Uniti, che hanno sconfitto la recessione attingendo “a capitali di rischio”) e lo “snellimento della burocrazia”(portando l’esempio dei ritardi di pagamento della Pa, motivo per cui in Europa “un’impresa su tre, in questi anni, è fallita”, e dal quale ne è nata l’apposita direttiva europea). “Sono convinto che si debba rimettere al centro della nostra governance economica la competitività delle imprese”, ha proseguito Tajani.
“LA CONTRAPPOSIZIONE TRA RIGORE E CRESCITA È ARTIFICIOSA”, MENTRE “BISOGNA LAVORARE SULLA QUALITÀ DELLA SPESA PUBBLICA”, DICE TAJANI
Un punto inoltre messo in evidenza è quello di sgomberare il campo dalla “contraddizione artificiosa” tra “austerità e flessibilità, rigore e crescita, risanamento e investimenti” (leitmotiv invece della comunicazione di Matteo Renzi, e di recente utilizzato anche dal candidato indipendente alle presidenziali francesi, secondo alcuni il favorito, Emmanuel Macron): il matrimonio tra le due sponde, dice Tajani, “non è impossibile”, a condizione di “lavorare sulla qualità della spesa”, in quanto non si può avere un’economia prospera “con conti pubblici fuori controllo”. E la flessibilità “va sfruttata per investimenti produttivi finalizzati a crescita e innovazione”. Punto, quest’ultimo, su cui molti economisti presenti al tavolo si sono detti d’accordo: da Veronica De Romanis, che ha indicato come il problema stia nel fatto che la flessibilità è ed è stata “investita male”, finanziando in disavanzo il disinnesco delle clausole di salvaguardia (ovvero “la spesa di ieri”) e che il QE invece “è stato uno scambio tra Draghi e Merkel in cambio del fiscal compact” (con il quale ci si è “impegnati in un percorso di finanze pubbliche sostenibili”), ad Alberto Quadrio Curzio, che ha sostenuto che “oggi l’unione monetaria ha bisogno di grandi interventi, ma a portata di mano, e gli ostacoli sono di natura politica”. Tra questi per l’economista potrebbero esserci gli eurobond, ma anche “un timbro europeo sugli investimenti”, che ne riconosca cioè la produttività.
PER TAJANI SENZA IMPRESE “NON SI CRESCE”, E “L’EUROPA DEVE SUPPORTARLE”
In conclusione per Tajani va “sostenuto e rafforzato” il piano Juncker. L’Europa, chiosa, deve supportare le imprese ad “alto valore aggiunto”, innovative e capaci di sostenere le sfide ambientali, internazionali ed energetiche: “dobbiamo ridurre il prezzo dell’energia, favorire l’accesso ai capitali, alle materie prime e ai mercati globali”. È stato infine l’economista ed ex sottosegretario di Stato all’economia Vieri Ceriani a concludere l’incontro, ribadendo che “l’uscita dall’euro non è nei trattati e non è possibile, e lo stesso Draghi ci ha ricordato, tecnicamente, che chi esce deve ripagare i propri debiti”. Ma il problema resta “la deriva della spesa corrente, dovuta al consenso sociale ricercato dalla politica”: “la Thatcher l’ha tagliata con una apposita commissione parlamentare di ordine governativo, mentre in Italia i giuristi ci dicono che non è possibile. Probabilmente è uno dei vantaggi dei paesi a Common Law”.